La fiamma della torcia illumina a stento il corridoio umido e sporco del sotterraneo.
Sembra indecisa se continuare a consumare lo straccio bitumato che avvolge il legno o spegnersi lasciando finalmente posto al buio e al silenzio.
Saga la osserva paziente, immaginando il rogo che ci sarà l’indomani. Il corpo dell’uomo in vece della torcia.
La guardia seduta sul suo sgabello sembra osservare il nulla, o al contrario fissare un punto preciso del muro in cui infilarsi per non sentire i gemiti provenienti dalla cella. È ignaro di non essere il solo a udirli, non ha potuto notare Saga passare e diventare tutt’uno con l’angolo buio.
Dalla cella, ai gemiti e alle parole sussurrate si aggiungono respiri affannati, un tintinnio sordo di catene, fino ad un inconfondibile ritmo cadenzato antico come il tempo. L’uomo di guardia finge di non esserne cosciente, ma Saga annusa la sua eccitazione, per lei chiara nell’aria malsana della galera come il profumo del pane appena sfornato.
I gemiti e i tonfi si interrompono di colpo, come se non fossero mai esistiti. Poco dopo la guardia sussulta in piedi quando Gunhild esce dalla cella.
Saga, sempre ritirata nell’angolo buio, osserva la sorella gemella mentre avanza lungo il corridoio, verso l’uscita. Anche se chiudesse gli occhi le sarebbe impossibile non vederla. Impossibile come rendere a parole il suo incedere sicuro e quasi danzante che fa ondeggiare i lunghi capelli del colore del sole appena sorto all’orizzonte, i grandi occhi smeraldo la cui profondità è una trappola per ogni sguardo di uomo e spesso anche di donna. Le braccia, le gambe, il seno, la pelle satura di erotismo, tutto sembra disegnato e scolpito da un qualche dio desideroso di portare scompiglio tra gli umani.
Prima di sparire via dal corridoio trascinando con sé la sua luce naturale, Gunhild si ferma a ringraziare la guardia con un semplice cenno del capo e una carezza sul suo mento ispido. Questi ricade sullo sgabello come inebetito, nuovamente incapace di notare Saga che, lasciato il suo antro, si insinua nella stretta cella ancora aperta.
Il prigioniero è ancora sdraiato sul giaciglio di paglia e stracci che gli è stato concesso solo in virtù della sua alta casata nobiliare. Le catene ai polsi lo trattengono al muro di pietra. I calzoni ancora calati non nascondono quello che si è appena consumato.
«Tu.» Mormora sorpreso l’uomo.
Saga annuisce, fermandosi a contemplare quello che resta di un nobile decaduto.
«Le assomigli molto.» Continua lui.
La donna lascia scivolare il cappuccio rivelando una chioma talmente nera che sembra assorbire la poca luce proveniente dalla torcia quasi esanime. Anche gli occhi sembrano due pozzi oscuri di cui non si vede il fondo. Non fosse per questo e per la carnagione pallida, sarebbe la copia esatta della sorella.
«Molto più di quanto sembri.» Risponde lei. Poi si avvicina e inginocchiandosi appoggia il palmo di una mano sulla guancia dell’uomo.
«Siamo più che sorelle, siamo una stessa entità separata alla nascita, per colpa della rabbia di un dio, o del sortilegio di una strega, chissà.»
Il prigioniero geme al tocco freddo di Saga.
«Siamo sempre state come il sole e la luna, il giorno e la notte. Percorriamo le strade di questo mondo insieme, inseparabili ma distanti. Lei brama i corpi degli uomini, la loro forza, vitalità, ma non se ne innamora, mai.»
«Lei… Ho provato a non amarla, io…»
«Shhh, zitto, non sprecare le tue forze a cercare di spiegare, inutile uomo tra gli uomini. È impossibile non rimanerne soggiogati. Nessuno le ha mai resistito. Nessuno le resisterà mai. Lei prende ciò che vuole, sempre.»
Un sussulto dell’uomo, le catene sbatacchiano. «Ma io ho ucciso per lei. Ho ucciso…» Il pianto gli impedisce di continuare.
«Lo so, uomo, lo so.» Mormora lei passandogli un dito sulle labbra, impastate da lacrime e saliva. «Ed per questo che io riesco ad amarti. Per tutto l’amore e la devozione che tu hai regalato a mia sorella, io ti amo. E ti faccio il dono di portarti via con me.»
I singhiozzi dell’uomo si placano lentamente, fino a riuscire a pronunciare qualche parola senza biascicare.
«Tu? Mi salverai? Mi salverai dalle fiamme?»
Saga si risolleva, sorridente. Ricopre nuovamente il capo con il cappuccio della veste e impone entrambe le mani all’uomo incatenato. Qualcosa di impalpabile sembra fluire dal volto di lui alle mani di lei.
«Io ti porterò con me, così come porto con me, dentro di me, tutti gli uomini e le donne che nei secoli hanno amato mia sorella Gunhild. La tua memoria sarà mia, i ricordi di tutta la tua vita si fonderanno ai miei, il tuo amore per lei sarà mio, per sempre. Ma il tuo corpo brucerà, come è giusto che sia.»
Mentre Saga gli sfila davanti, misteriosa e silenziosa come sempre, una forza invisibile impedisce alla guardia di sollevare lo sguardo, di muovere anche un solo muscolo. Poi, finalmente libero, si sposta alla cella e, prima di chiuderla per il resto della notte, manda un ultimo sguardo a quello che era stato un grande uomo, un grande re, prima di impazzire e uccidere moglie e figli.
Ha l’espressione di un bambino impaurito, è seduto sul pagliericcio, fissa le catene che lo tengono imprigionato. Al vedere il soldato di guardia, domanda spaesato «Chi sono? Che ci faccio qui?»
Buon giorno
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Si spera sempre che lo sia. Buongiorno anche a te 😁
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♥️
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Un traguardo pazzesco
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Grazie, non è che son tutti capolavori… Ma ogni scarrafone è bello a mamma sua 😂
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Eccome se ci piacciono 😉
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