Lei è in piedi, il cappotto ancora addosso e stretto dalla cintura in vita.
La borsa in tessuto della spesa appena appoggiata sul tavolo, afflosciata come a dire che dei prodotti che avrebbe dovuto contenere è stato trovato ben poco.
Sullo schermo della tv scorrono le stesse immagini di quando è uscita, con la differenza che il marito ne ha silenziato l’audio per permettere a una musica d’altri tempi di spargersi in tutta la casa. Pur ascoltandola, lei rimane ipnotizzata dal labiale della conduttrice tv, tanto da comprendere le sue parole come se le sentisse veramente.
«Hai fatto presto.» Le dice lui sorridente, avvicinandosi ondeggiando nel tentativo di seguire la musica. Lei reprime una risata. Il marito è sempre stato lontano dall’essere un ballerino almeno passabile e il bastone da passeggio tripode che ha iniziato ad utilizzare negli ultimi mesi non aiuta certo a migliorane le qualità. «Ti aiuto a preparare la cena?» Continua lui.
«No non preoccuparti, faccio io, tanto non ho trovato molto purtroppo, tu pensa al vino.»
«E’ domenica sera cara, di certo gli scaffali non saranno molto pieni. Bianco o rosso?»
«Fosse solo per questo… Comunque che ne dici di quel blend moscato chardonnay che abbiamo preso la scorsa settimana?»
Lui sembra soppesare la proposta, poi all’improvviso si cimenta in una specie di giravolta quando inizia un nuovo pezzo della playlist. «Dico che è un’idea ottima, cara.»
Anche lei infine si lascia trascinare dalla melodia e dall’allegria del marito. Gli si avvicina con un paio di passi scivolati degni di Ginger Rogers, lo accarezza in volto e lo abbandona appena dopo aver finto di volergli schioccare un bacio. Lui finge di rimanerci male mentre allaccia il maglione da camera per poi dirigersi verso la porta della piccola cantina.
Quando torna la cena è già pronta. Lei, quasi imbarazzata per la frugalità del pasto, vorrebbe dire qualcosa ma lui la precede, mostrando la bottiglia che tiene in mano con riverenza. «In effetti, ho pensato che potremmo semplicemente stappare questa.»
«Ne sei sicuro?» Chiede lei rivedendo la bottiglia per la prima volta dopo l’acquisto, avvenuto solo pochi anni prima ma che sembra appartenere a un mondo ormai lontanissimo.
«La tenevamo in serbo per un’occasione speciale no? Quale occasione migliore potrà mai esserci?»
La donna si lascia incantare dai movimenti teatrali delle mani del marito intento alle operazioni di apertura dell’ultima bottiglia di Sassicaia di quell’annata. Lo rivede nitidamente, cinquant’anni prima, cercare di fare colpo su di lei nel suo primo giorno da Sommelier nel ristorante dove si erano conosciuti.
«Vuoi veramente aprirla abbinando poco più di due tramezzini al formaggio?» Lo incalza.
«Direi che è un abbinamento perfetto cara.»
Lei accetta la decisione con un sorriso e un’alzata di spalle divertita, poi prende i piatti e li porta in salotto dove la televisione sta ancora trasmettendo senza sonoro e la playlist musicale funge da portale per ricordi meravigliosi.
Appoggia i piatti sul tavolo del salone e le sue dita automaticamente danzano sui tasti di un pianoforte invisibile seguendo le note. Solo un leggero tremito a una mano tradisce gli anni che quelle mani hanno accumulato. Ne blocca il tremore con l’altra e si prende del tempo per osservarle entrambe. Fatica a riconoscerle pensando alle lunghe dita affusolate che suonavano pianoforti nelle capitali europee, ora che anche preparare un toast è diventata una fatica dolorosa. Sì, forse è proprio il momento di aprire quella bottiglia.
Mentre recupera i due calici migliori dalla cristalliera sente il caratteristico schioppo provenire dalla cucina. Tipico del marito non pensare che forse anche lei avrebbe voluto partecipare allo stappo. La aggiunge alla lista di piccole cose che gli deve perdonare, quando lui fa il suo ingresso trionfale con un sorriso radioso, evidente promessa di un vino che merita la sua fama.
La cena poi viene a malapena assaggiata mentre il vino pienamente apprezzato riempie più volte i calici e la musica fa da sottofondo alla degustazione, in un silenzio saturo di sguardi, che le parole ormai son già state tutte pronunciate nella lunga vita in comune.
Prima dell’ultimo bicchiere rivolgono l’attenzione al televisore, nel momento in cui appare un volto ormai fin troppo familiare nell’ultimo periodo. Non hanno comunque necessità di alzare il volume, le oscure parole dette da quell’altrettanto oscuro volto sono chiare e pesanti anche senza il bisogno di essere sentite.
I due coniugi sembrano assimilare la notizia con tranquillità, forse anche grazie all’ottimo vino, forse grazie alla musica che riporta ricordi piacevoli.
Lei si lascia andare placidamente sulla sua poltrona rilassando ancora di più i vecchi nervi fin troppo tesi da quegli ultimi giorni. Sembra non sentire nemmeno più il dolore alle ossa, mentre lui riempie un’ultima volta i calici con ciò che rimane del prezioso nettare. Poi si alza senza l’ausilio del bastone e piazzandosi di fronte le porge il calice.
Lei si alza nuovamente, sovrastando in altezza quell’uomo che un tempo era arrivato a rubarle lo sguardo e che ora, curvo sotto il peso degli anni, prova a ricommettere il reato.
«Visto cara, abbiamo fatto benissimo ad aprirlo. Ora, mi concedi questo ballo?» Le sussurra mentre solleva il bicchiere in un ultimo brindisi e le stringe una mano.
Come in una sceneggiatura perfetta, parte la canzone che li ha visti innamorare.
Fuori, oltre le finestre a doppi vetri che respingono i rumori molesti, sirene urlano il loro grido d’allarme e aerei da guerra sorvolano ciò che a breve non sarà più.
Sei riuscito a creare un’atmosfera di serenità quasi magica in un dramma doloroso e terribile.
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Grazie, la prima stesura era molto più cupa, poi ho pensato che i miei protagonisti si meritavano di meglio.
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Quanto mi mancavano i tuoi emozionanti racconti, Carrettoni!
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Anche a me… 😉
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La spesa c’entra in qualche modo, ma decisamente non è la lista. Bellissimo!
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Grazie, sto lavorando anche alla lista della spesa, devo solo capire quale verdura uccidere e se incolpare il crauto o la verza…
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MI sa che prima di scrivere questo pezzo hai guardato il telegiornale, giusto? 😀 O forse ce l’avevi come sottofondo. 😉
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Per fortuna o forse purtroppo no. Ne ho comunque un ricordo sufficiente per cercare di scordarmene. 😉
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Il catastrofismo dilaga imperante in tutti i blog, ho visto… la mia nevicata di dieci giorni predetta dalla Parca, che a me sembra una cosa normale, a qualcuno è sembrata una minaccia vera. Non era mia intenzione. Tant’è, oramai son tutti spaventatissimi e basta un niente per far scattare l’interruttore.
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Una nevicata di dieci giorni per me che odio la neve è paragonabile all’armageddon. Che poi non è che odio la neve. Non mi piace fuori dal suo contesto naturale, che nella mia visione è la montagna in inverno. Son tutti spaventati? Tutti tutti? Non lo so, ho l’impressione che la maggior parte voglia ignorare quanto accade
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Ma la Parca vive in montagna, infatti. IN alta montagna. E dieci giorni di neve non sono poi una cosa che io non ricordo; in passato nevicava per settimane. Nessuno si spaventava. Si spalava, tenendo le vie di comunicazione aperte il più possibile e ci si faceva la scorta di legna, come dice lei, per evitare di stare al freddo. Ma oggi, tutto ciò che è evento naturale fa paura, perché la gente è abituata a farsi spaventare da “emergenze” di ogni tipo, in primis quelle climatiche. Il senso del post è ironico, per chi lo ha saputo cogliere; per tutti gli altri, è profetico. Per il resto, se parli di condizioni di salute, hai ragione; vogliono ignorare l’evidenza, ma solo perché sono terrorizzati dalla realtà delle cose. E sempre di paura si tratta; più si fa strada la verità nelle loro menti e più si chiudono in se stessi; lo fanno tutti gli animali braccati che sentono di non avere scampo. E questa è la verità, che si voglia vederla o no.
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A quasi tutto si può sopravvivere con le dovute accortezze. 😉
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Basta usare il cervello e un fare un po’ di fatica. 😉
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