#187 – La strana storia di Matteo Dusoni

Il giovane Matteo forma la sua personalità in una tranquilla famiglia di provincia nel nord Italia. Casualmente si è trovato a nascere in Piemonte ma avrebbe potuto benissimo essere veneto o lombardo, senza nulla togliere a tutte le altre regioni. Fin da ragazzo mostra di appartenere a una categoria ben definita di essere umano. Quella che “finché la barca va, lasciala andare”.
Studia perché obbligato, si trova una ragazza perché tutti gli amici hanno la ragazza, gioca a calcio ma poco convinto, perfino la patente fatica a prenderla e della macchina gli importa solo che cammini. Ma anche Matteo, come tutti, ha una passione nascosta. La cucina.
Impara i fondamenti dell’arte culinaria dalla nonna, li affina con la madre, li perfeziona in una scuola professionale.
Ed è bravo, Matteo. Bravo davvero.
Ci mette passione in quello che cucina e l’apprezzamento di chi gli sta vicino è per lui l’unico riconoscimento di cui ha bisogno. Perché Matteo non sa nemmeno cosa voglia dire, essere competitivo. Non gli appartiene il profondo egocentrismo dei cuochi televisivi o la spocchiosa baldanza degli chef stellati. A posti di lavoro rinomati e a una carriera nella ristorazione di pregio preferisce impieghi più modesti ma tranquilli, a misura d’uomo, o per lo meno a misura sua.
Questo lo porta ad accettare, dopo anni di trattorie e ristoranti “fuori casello”, un posto fisso nella casa di riposo del suo paese natale.
Qui, volente o nolente, Matteo diviene una piccola celebrità locale. Nonostante la scarsa varietà nel menù degli anziani residenti nella struttura, il nostro riesce a infondere la sua passione perfino in portate di mele cotte, prugne al vapore, semolini e zuppe, senza dimenticare il piatto che lo rende famoso a tal punto da indurre la dirigenza dell’ospizio ad aprire anche a parenti e amici dei degenti, la domenica e a pagamento; il bollito misto.
La sua personale ricetta per il bollito misto alla piemontese diventa così famosa da attirare le attenzioni dei media, sia locali che nazionali, ma ad ogni intervista Matteo risponde sempre con una disarmante affermazione. Il segreto del mio piatto è la passione per la cucina, punto.
Ma ogni favola, anche la più bella, deve avere una fine. E il giorno del pensionamento sopraggiunge anche per Matteo Dusoni. Nulla gli vieta di proseguire a cucinare da qualche altra parte, le offerte fioccano da ogni posto del mondo, ma Matteo vuole concludere la sua carriera in modo degno e indimenticabile. Promette, per la cena di addio alla struttura, il gran bollito migliore della sua vita. Dopodiché appenderà i mestoli al chiodo. La notizia genera sconforto tra i suoi estimatori e una gara per accaparrarsi i pochi posti disponibili per quella che viene definita l’ultima cena.
Il giorno arriva e all’ingresso degli ospiti fissi anziani e dei commensali paganti il profumo della pietanza ha già invaso buona parte del paese. Una piccola folla di chi non è riuscito a ottenere un posto a tavola si riunisce nella piazza antistante, dando vita a una sciarada per indovinare i vari ingredienti del bollito solo attraverso le papille olfattive.
All’interno, gli elogi e gli apprezzamenti si sprecano e rimbombano per le mura del palazzo fino al completo esaurimento delle portate e alla formazione di un unico potente coro che inneggia al nome del cuoco.
Ma la star della serata non dà segno di voler ricevere i meritati onori.
Il sindaco e altri dignitari del paese si alzano, non senza fatica, dalle tavole e si recano nella cucina, ancora pregna dei vapori causati dalla lenta cottura.
Di Matteo Dusoni non si trova più traccia. Né in quel momento, né mai più.
Del mistero della sua scomparsa ancora si vocifera in paese, come del fatto che la sua utilitaria fosse rimasta nel parcheggio, i suoi vestiti ben piegati nello spogliatoio, la carne acquistata per il gran bollito ancora confezionata nella cella frigorifera.
E ancora, a così tanti anni di distanza, si cerca di capire come mai, dopo quella cena, tutti i commensali presenti diventarono vegani.

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