#166 – La penna

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Lo scatto del meccanismo della penna a sfera si perde nella confusione della sala. La televisione in sintonia fissa sul primo canale nazionale trasmette programmi che nessuno guarda o ascolta, ma guai a spegnerla.
Il Bepi ripete ossessivamente di avvicinarsi a lui, che ti deve dire una cosa importante, ma solo a te, che guai se la sentono loro.
La Vania si dondola in avanti e indietro così tanto che sembra uno di quegli uccellini di legno che scendono a beccare il mangime, ma incazzati come rinoceronti.
Lo Svizzero cammina veloce e rasente i muri fermandosi di scatto prima di girare gli angoli, con l’aria di chi si aspetta di essere scoperto da un momento all’altro.
Qualcuno perlustra ogni piastrella del pavimento come se cercasse le prove di un delitto avvenuto anni prima, con lentezza e metodo. Ma la maggior parte degli ospiti se ne sta ferma, in piedi o seduti, a fissare sempre lo stesso punto o al contrario senza riuscire a osservare qualcosa per più di un solo istante, tutti con un’espressione stranita sul volto. Qualcuno si lamenta, qualcuno borbotta, ogni tanto c’è chi alza la voce producendosi in una mezza frase incomprensibile e suscitando l’approvazione generale degli astanti.
Solo Piera sembra non far parte di quel gruppo eterogeneo. Lei se ne resta in disparte, seduta diligentemente a un tavolino d’angolo a fare le parole crociate.
Tiene una matita con la mano destra che in quel momento usa per scrivere, una di quelle matite con la gommina in cima, che però non ha mai usato perché solitamente non sbaglia una definizione.
Nell’altra mano invece stringe una penna a sfera bianca e azzurra, di quelle a quattro colori. Ritmicamente preme i quattro pulsanti, in sequenza uno dopo l’altro, senza mai fermarsi, facendo girare la penna nel palmo, con un piccolo intervallo tra ogni coppia di scatti.
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La donna sembra non prestare attenzione al gesto che però esegue con fluida perfezione. Ogni tanto, senza una logica precisa se non quella di farle riposare, alterna le mani nel lavoro.
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Gino il biondo è affascinato dalla cosa e piazza la sua sedia sempre in angolo della sala da cui ha modo di osservare Piera per quanto più tempo possibile.
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Dalla tivù si diffonde la sigla del programma pomeridiano, segno che tra poco arriveranno i dottori per il solito giro di controllo.
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Piera finisce il Bartezzaghi proprio nel momento in cui due camici bianchi compaiono sulla porta del salone.
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Fermi sulla soglia osservano i pazienti scambiandosi commenti a bassa voce e consultando le rispettive cartelline fino a quando uno dei due, il più anziano, indica in direzione di Piera e del suo tavolino.
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L’altro medico è una donna giovane, di bassa statura e con una massa di neri capelli ricci raccolti alla bell’e meglio da un elastico rosa.
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Piera la osserva per un secondo mentre volta pagina alla Settimana Enigmistica. Solitamente non perde il suo tempo a controllare ciò che fanno medici o operatori sanitari, tanto più che a loro volta ormai non le dedicano mai più di un’occhiata.
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Piera non è una che dà fastidio. Ma questa volta il primario ha indicato lei e qualcosa nello sguardo sorridente della giovane donna la incuriosisce.
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Gli sguardi di Piera e della dottoressa si scontrano in mezzo alla sala ma solo la seconda sembra accusarne il contraccolpo.
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Piera si riconcentra sulla rivista che vanta più tentativi di imitazione finendo di voltare pagina e sperando di non essere disturbata, ma la voce della nuova arrivata interrompe lo studio dell’anagramma crittografato.
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“Buongiorno.” Esordisce camice bianco con una voce giovane e squillante che tradisce forse inesperienza.
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Piera non risponde. Si limita a un gesto del capo.
“Posso sedermi?”
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Questa volta Piera non perde nemmeno tempo ad accennare un gesto. Tanto sa che si siederà comunque.
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Gino il biondo dall’altra parte della stanza sposta di poco la sedia per potersi godere meglio lo spettacolo.
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Il medico anziano sfila tra gli altri pazienti annuendo qua e là e spuntando di tanto in tanto una lista sulla cartellina.
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“Mi chiamo Angela.” Presentazione accompagnata da un sorriso bianchissimo e dall’offerta di una stretta di mano, tranquillamente ignorata.
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“Sono nuova qui, questo è il mio primo giorno.”
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Piera annuisce senza distogliere lo sguardo dal Quesito con la Susi, ma la dottoressa non demorde.
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“Primo giorno e mi hanno parlato già così tanto di te che ho voluto conoscerti subito.”
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“Volevi conoscere il Fenomeno?” Sussurra Piera con tono inaspettatamente autorevole e senza sollevare lo sguardo.
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La giovane donna nasconde l’imbarazzo in un sorriso nervoso. “Io… non penso che tu sia un fenomeno.”
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“Non riuscirai a farmi smettere.” Prosegue Piera.
“Ah, ma non è mia intenzione farti smettere.” Tono di scusa.
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“Magari non subito, ma lo vorrai. Tutti lo vogliono.” Afferma Piera alzando finalmente gli occhi sulla dottoressa e sollevando di poco la mano con la biro. Sospende la pausa tra gli scatti.
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Poi torna alla normalità. “Non smetterò finché ne avrò la forza.”
La dottoressa si lascia andare sullo schienale della sedia. Appoggia la cartellina che fino a quel momento aveva tenuto in mano e riprende lentamente a respirare, attività che ha dimenticato di eseguire negli ultimi cinque secondi, durante il gesto improvviso di Piera.
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Apre la cartellina e sfoglia le pagine. “Hai 67 anni, Piera. Ne avevi 41 quando ti ha preso questo tic nervoso.”
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“Non è un tic nervoso.”
“Ok. Puoi spiegarmi?”
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Piera sbuffa, stanca di dover ripetere per l’ennesima volta la stessa storia. “Non lo so. Siete voi i dottori. Io so solo che non posso smettere di farlo.”
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La dottoressa prosegue nella lettura della cartella medica. “Lo fai anche mentre dormi.” Commenta mentre con l’indice accarezza il foglio dall’alto verso il basso.
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“Io non dormo. Non più.”
“Vero,” conferma Angela, questa volta picchiettando con il dito su un paragrafo in particolare. “Sei un caso unico. Entri in uno stato di trance che ti permette di riposare una parte del cervello mentre inconsciamente continui a far scattare la penna.”
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“E’ scritto così su quei fogli?”
“Con altri termini. Ma sì.”
“Allora è sbagliato. Io non dormo. E basta. Sono perfettamente consapevole di quello che faccio. Sempre. Perché io non voglio farlo, devo farlo.”
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La giovane abbozza, sfila una penna dal taschino per prendere appunti. Alla pressione del pulsante per estrarre la punta avverte un leggero brivido.
Anche Piera se ne accorge, in modo diverso. Volta pagina e inizia a studiare una sciarada.
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Gino il biondo fa strisciare la sedia sul pavimento.
La dottoressa scrive qualcosa a lato di un paragrafo e poi si lascia attirare da un particolare.
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Per un tempo indefinito il suo sguardo scivola altalenante dalla data stampata sulla cartella al volto di Piera.
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Gino emette una risatina che si confonde agli applausi del pubblico televisivo all’ingresso in studio di un vecchio cantante che non stonerebbe tra gli spettatori della clinica.
“Qui dice che hai iniziato a farlo 26 anni fa.”
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“Se c’è scritto lì…”
“Ricordi il giorno esatto?” Domanda la giovane dottoressa.
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“Era il primo maggio del 1994.”
“Ne sei sicura?” replica Angela immediatamente.
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Piera ormai rinuncia a concentrarsi sulla rivista. Con un automatismo consolidato porta la quattro colori dalla sinistra alla destra lasciando cadere la matita sul tavolino.
“Sì, ne sono sicura.”
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La dottoressa sorride, dissimulando una certa sorpresa. Abbassa lo sguardo. “Che combinazione.”
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Piera non ribatte ma continua a tenere lo sguardo fisso sulla montagna di capelli ricci che ormai nascondono il viso della ragazza. “Cosa?”
“Oh, nulla…”
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“Pensavo…” Continua Angela, “come puoi essere sicura del momento esatto in cui…”
“E’ importante?”
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“Non lo so. Forse. Te lo ricordi?”
“Sì.”
Silenzio. Piera non sembra voler proseguire oltre e la giovane dottoressa si limita ad aspettare, paziente, continuando a scorrere dati nella scheda e cercando di dissimulare impazienza.
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“Era il primo di maggio.” Sussurra alla fine Piera. La ragazza annuisce piano, si trattiene dal fare la prossima domanda.
“Ero a casa mia.” Continua Piera. “Era festa. In televisione trasmettevano una corsa automobilistica.”
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Un fremito scuote i capelli di Angela.
“Ci fu un incidente. Uno dei piloti morì. Ricordo che mio marito e mio figlio presero a disperarsi, erano appassionati. A me non interessava particolarmente, stavo facendo le parole crociate. Però quando guardai verso la televisione, senza pensarci cominciai a far scattare la penna. Non sono più riuscita a smettere.”
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“Perché?” Domanda Angela con un filo di voce.
L’eternità che impiega Piera per rispondere è riempita dalle voci della TV, i lamenti dei pazienti, lo stridere delle sedie sul pavimento, la risata sommessa di Gino il biondo e dai richiami continui del Bepi. E sopra a tutto lo scatto della penna di Piera che ormai nelle orecchie di Angela copre ogni altro suono.
“Perché ho pensato che il ritmo dello scatto assomigliasse a quello di un cuore che batte. Al mio cuore che batte.”
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Angela chiude gli occhi e svuota i polmoni della tensione accumulata nel minuto precedente. “Hai… Hai mai provato seriamente a smettere?”
“Tu lo faresti?” Risponde Piera sorridendo. “E se poi non fossi più in grado di ricominciare?”
“Non puoi credere veramente che il tuo cuore sia collegato a quella penna.”
“Non lo credo, lo so.”
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“Ok.” La giovane dottoressa lascia la sedia. “Allora non sarò certo io a volerti far smettere.” Si alza e lentamente si avvicina all’uscita, poi ci ripensa e torna sui suoi passi. Questa volta invece di sedersi di fronte a Piera le si avvicina di lato e si china in avanti tanto da poterle parlare a bassa voce, quasi in tono confidenziale. “Voglio raccontarti una storia, Piera.” Prende la sedia e l’avvicina, si accomoda e poggia i gomiti sul tavolo, le mani vicinissime a quelle di Piera, e alla penna.
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Gino il biondo cambia di nuovo posizione, facendo stridere rumorosamente la sedia di metallo sul pavimento.
“Anche mio padre era un fan sfegatato della Formula Uno. Un fan sfegatato di Ayrton Senna. Il primo maggio 1994 si correva il Gran Premio di Imola. Lui lo aspettava con ansia. Non se ne perdeva uno. Ma io decisi di venire al mondo proprio quel giorno. E mio padre fu costretto a passare quella giornata in ospedale, mentre mia madre cercava di partorirmi con difficoltà. C’era una piccola televisione in sala d’aspetto. Trasmettevano la gara. Lui insieme a un piccolo gruppo di pazienti e infermieri la stava guardando proprio nel momento in cui Senna andò a sbattere. Proprio nel momento in cui un uomo moriva una piccola bambina nasceva. Io. Sono nata esattamente nel momento in cui quel pilota è diventato un angelo, almeno questo è quello che sostiene mio padre e il motivo per cui porto questo nome. E a quanto pare, sono venuta al mondo nell’esatto momento in cui tu hai cominciato a cliccare quella penna. Quindi se c’è un cuore collegato a quella penna, è il mio, non il tuo.”
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Lo sguardo di Piera non tradisce nessuna emozione, se mai ne sta provando qualcuna.
“E io,” continua la giovane donna, “non credo a queste stronzate.”
Tutto accade in fretta e, come spesso in questi frangenti, senza che nessuno se ne accorga.
Nessuno, a parte Gino il biondo, che non perde mai di vista Piera nelle ore comuni. Gino non riesce più a sentire cosa si stanno dicendo le due donne, perché sono troppo vicine tra loro, e la dottoressa gli mostra le spalle e parla con voce bassa. Allora Gino scatta in piedi e muovendosi veloce quasi a quattro zampe si porta dietro lo Svizzero, alla parete adiacente al tavolino di Piera. Ed eccolo assistere incredulo al gesto rapido della dottoressa che sfila a Piera la penna a quattro colori approfittando dell’intempestivo cambio di mano. Gino non riesce a trattenere un grido di stupore scatenando un’onda di reazioni da parte di tutti i presenti nella sala. Lo Svizzero si mette a urlare che stanno arrivando a prenderlo, indicando la porta del bagno, il Bepi si aggrappa a tutti quelli che gli passano davanti gridando che deve assolutamente dire una cosa, la Vania oscilla pericolosamente al limite del suo baricentro ululando come un lupo mannaro e tutti iniziano ad agitarsi, piangere o strillare.
Nella confusione generale il primario cerca di far calmare chi può e gli operatori sanitari iniziano ad accompagnare i più agitati nelle loro stanze.
Angela si scosta di due passi dal tavolino, dalla settimana enigmistica, da Piera, che improvvisamente privata della penna si osserva stranita le mani vuote e ferme. Come ricordandosi all’improvviso di qualcosa porta le mani al petto e inizia a respirare affannosamente. Tutto quello che le accade attorno non ha nessuna importanza per lei, l’unica cosa che i suoi occhi cercano è la penna bianca e azzurra che ora si allontana inesorabilmente nelle mani di Angela.
La dottoressa smette di camminare, ritenendo di essere ormai sufficientemente lontana da Piera. Si volta e le sorride, mostrandole la penna ormai inerte.
Anche Piera vorrebbe trovare la forza di sorridere, perché incredibilmente il suo cuore non ha smesso di battere, ma non ne trova la forza e soprattutto il coraggio. Torna a osservarsi le mani, i palmi aperti, le dita immobili. E non vede la giovane dottoressa crollare a terra esanime.
Gino il biondo ride sguaiatamente mentre viene trascinato via.

 

13 Comments

  1. sei perfido, punto.
    a leggere di Piera mi saliva un’ansia sottile, condividevo la sua ossessione a tenersi in vita con quel click, ero certo, come lei che sarebbe morta nell’attimo stesso in cui avrebbe smesso di premere il pulsante della penna.
    il tempo brevissimo del sollievo a vederla ancora viva nonostante la cessazione dei click, e tu mi fai stramazzare al suolo la dottoressa giovane!
    sei perfido, punto.
    e geniale.
    ml

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