È un’operazione di routine.
Una normale operazione di routine.
Pattugliamento e controllo.
L’importante è continuare a ripeterselo. Operazioni come questa le svolgono tutti i giorni, centinaia di squadre, migliaia di volte, quasi sempre senza problemi.
Quasi sempre. Ovvio.
Sulla carta, nulla di cui preoccuparsi.
Ma per me è la prima volta.
Il furgone corazzato si ferma. L’autista conferma con un gesto che abbiamo raggiunto il punto prestabilito. Spegne il motore e si accende una sigaretta. Non potrebbe, non glielo dovrei permettere. La porta laterale del blindato si apre scivolando sul fianco e la squadra inizia a smontare. Lascio correre per la sigaretta, il suo lavoro per il momento è terminato.
Esco dalla cabina.
Dieci uomini. Militari.
La prima vera squadra al mio primo vero comando dopo la nomina a sottotenente. Sette soldati semplici, un caporale, il sergente che sembra avere più anni di tutti gli altri messi insieme. Si sistemano le attrezzature, controllano i fissaggi delle cinghie. Il sergente no, sa di essere già pronto, aspetta il mio ordine fissandomi immobile. Fingo di non farci caso, se mi mostro debole è finita.
Attivo il collegamento radio con il campo base e chiedo istruzioni, pensando che avrei potuto benissimo seguire l’operazione dal lì.
Un particolare bip nell’auricolare segnala la comunicazione in arrivo dal comando. “Squadra Alfa. Avete via libera.”
Non ero obbligato, me lo ripeto per l’ennesima maledetta volta e anche se mi da fastidio ammetterlo, il vecchio sergente Tommasi in fondo non ha tutti i torti a guardarmi di traverso.
Ora sarei al fresco dell’aria condizionata della base, come avrebbero fatto tutti i miei colleghi appena usciti dal corso e il sergente sarebbe al comando della squadra con relativa felicità di tutti.
Ma no, troppo facile, volevo essere sul campo, con i miei uomini, a sudare nella tuta da combattimento sotto il sole d’agosto per dimostrare di non essere solo un damerino coi galloni ma soprattutto un soldato.
Effetto dei troppi troppi film di propaganda e di tutti i discorsi motivazionali degli istruttori, ma solo adesso, ripensandoci, mi chiedo se gli ufficiali istruttori lo sono mai stati, sul campo.
“Squadra Alfa, avete via libera.” Ripetono dal comando. Il sergente accenna un ghigno.
“Alfa a Base. Procediamo.” Rispondo.
Tempo di muoversi.
Il compito è semplice. Controllare il settore assegnato. Rilevare eventuali anomalie. Agire di conseguenza.
Mi guardo intorno. Ho già studiato sulla carta la zona da pattugliare e non sembrano esserci particolari differenze nella realtà. Una sterminata pianura disegnata geometricamente da campi coltivati a monocoltura intervallati da cascinali e piccoli agglomerati di case, quasi tutti abbandonati in favore delle metropoli.
Ordino di avanzare.
Il sergente smette di fissarmi e con due rapidi gesti di una mano divide gli altri in due gruppi, io resto nel primo con lui, il caporale a capo del secondo. Avanziamo tra le piantine allineate in direzione del primo cascinale.
Mentre attraverso il campo, se non fosse per la pesante tuta da combattimento e le armi che stringo tra le mani avrei la sensazione di essere tornato bambino nella casa di campagna dei nonni. Ricordo il trattore del nonno che mi faceva provare e lui che rientrava per cena dopo averlo portato per tutta la giornata. Ora le macchine agricole lavorano da sole. Quelli come mio nonno le pilotano dal telefono, da casa.
Le due pattuglie si allargano mentre avanziamo. Il primo cascinale si avvicina e sembra essere sempre più quello che è. Un edificio abbandonato. Provo a immaginarlo quando tre secoli prima doveva essere un formicolare di attività umana. Intere famiglie al lavoro nei campi. Immagini che ho visto solo negli ebook di storia.
Fino ad ora nessuna traccia della Resistenza. D’altronde i tempi peggiori sono finiti, quelli degli scontri in piazza, della Guerriglia Verde, come la chiamavano.
Inizio a pensare che forse sarà davvero solo un’operazione di routine. Ma ovviamente sbaglio. O forse non lo dovevo pensare.
“Movimento, uomo armato. Lato est.” Gracchia uno dei miei uomini nella radio. Istantaneamente ci fermiamo abbassandoci, puntiamo le armi contro il cascinale. Comando alla squadra di avvicinarsi con una manovra standard e avanzo con attenzione. Passano secondi che sembrano interminabili, fino a che un colpo di fucile copre il rumore del vento leggero e fa volare via i pochi uccelli rimasti in queste latitudini.
“Ingaggio.” Grida uno dei miei. Le raffiche dei nostri mitragliatori sembrano semplici sussurri a confronto del colpo di prima, probabilmente sparato da un vecchio fucile da caccia. La Resistenza non ha molte armi a disposizione, non più. Io e il sergente corriamo in avanti, alternandoci a copertura uno dell’altro.
Le raffiche continuano, le voci dei soldati si susseguono confermando il raggiungimento e la pulizia della loro zona. Quando finalmente arrivo sul lato est sembra tutto finito. Quattro dei miei uomini stanno facendo uscire alcune persone dall’edificio. Tre donne e un ragazzino. L’uomo che probabilmente ha sparato poco prima è a terra, pancia in giù, le mani dietro la testa, il suo fucile a parecchi metri di distanza, una gamba sanguinante. Le donne e il ragazzino vengono fatti inginocchiare al suo fianco.
“Libero.” Segnala l’ultimo militare a uscire dalla casa.
Mi guardo attorno. Nessuna vittima, solo l’uomo ferito ma non in modo grave. Dopotutto non sta andando troppo male.
Faccio un cenno al sergente.
Se l’uomo ha sparato ci deve essere un motivo. E quel motivo va trovato.
Un suo cenno e metà della squadra inizia la perquisizione mentre l’uomo a terra bestemmia e ci maledice in un dialetto che stento a riconoscere.
Non passa molto tempo prima di sentire nell’auricolare che hanno trovato qualcosa.
La serra è nella corte del cascinale, occultata in modo da non essere rilevata dai controlli aerei.
Quando mi trovo di fronte alle centinaia di piante di pomodori, quasi mi si blocca il respiro per la forza del loro aroma nell’aria.
Ne prendo uno tra le mani.
“Squadra Alfa, rapporto.”
Deglutisco prima di rispondere, il profumo del pomodoro ha sortito il suo effetto.
“Cellula di resistenza neutralizzata. Trovata coltivazione abusiva.” Rispondo in maniera automatica, pensando in realtà all’oggetto che ho in mano. Lo confronto agli altri frutti. Non c’è n’è uno uguale all’altro. Sembra impossibile.
“Squadra Alfa, distruggere coltivazione, eliminare resistenza.”
“Comando, ripetere ordine.”
“Distruggere coltivazione, eliminare resistenza. Confermare.”
Mi volto, anche il sergente ha sentito l’ordine e mi tiene gli occhi addosso, in attesa.
“No.” Rispondo senza rendermene conto.
Il sergente solleva appena un angolo delle labbra, passano almeno cinque secondi prima della risposta dal comando.
“Alfa, eseguire ordine.”
“Sono civili. Non Resistenza. E sono già agli arresti. Procediamo a distruggere coltivazione e richiedo blindato per trasporto prigionieri.” Mentre rispondo vedo cambiare l’espressione facciale del sergente. Lo preferivo prima, il che è tutto dire.
La voce proveniente dal comando cambia, riconosco il mio diretto superiore.
“Alfa. Esegui ordine. Direttiva 31. Nessuna resistenza è ammessa. Pena la morte.”
Indugio.
Rispondo allo sguardo fisso del sergente. Eccolo, riesco a vederlo nei suoi occhi il cambio di frequenza alla radio e l’ordine che viene impartito direttamente a lui. Non ho neanche il tempo di lasciar cadere il pomodoro per impugnare la mia arma. Lui era già pronto. La raffica mi raggiunge in pieno petto. Cado tra le piante proprio come un frutto maturo.
“Quel bastardo mi ha sparato.” È la prima cosa che riesco a dire al risveglio. Il torace urla di dolore per i fatti suoi mentre tra me e me ringrazio il giubbotto antiproiettile e l’effetto anestetizzante di qualsiasi cosa mi abbiano iniettato nelle vene.
“Ha eseguito un mio ordine. Forse con troppo entusiasmo,” risponde la voce fuori campo del mio superiore, “perché tu non lo hai fatto.”
Cerco di sollevarmi dal letto dell’infermeria ma una fitta profonda mi convince a rimanere sdraiato. Continuo a parlare con una voce che non vedo. Vorrei chiedere che fine hanno fatto l’uomo della cascina e la sua famiglia ma già lo so. Spero solo che sia stata una faccenda veloce.
“Erano civili.”
“Erano fuorilegge. La Direttiva 31 è chiara in materia.”
“Non mi sono arruolato per uccidere civili disarmati.”
“All’interno dell’abitazione è stato trovato un deposito di armi.”
“Loro erano disarmati.”
“Il rapporto dice il contrario.”
Rapporto che deve aver stilato il sergente, penso, come penso di non aver visto l’uomo sparare con il fucile, come penso di non aver avuto notizia del ritrovamento di armi al momento dell’arresto.
Il proprietario della voce infine si palesa, entrando nel mio campo visivo.
“Sai qual è la punizione per il tuo gesto di insubordinazione.”
Non è una domanda. Sa che lo so.
“E’ tutto sbagliato.” Riesco a dire mentre realizzo qual è il vero scopo del mio battaglione. Lo dico piano, quasi sospirando, da qualche parte ci sono microfoni che registrano.
Lui si avvicina, tanto che posso sentire il suo fiato nell’orecchio. “Non dirlo nemmeno per scherzo. Questo è il sistema.”
“Allora il sistema è sbagliato.”
Lo vedo chiudere gli occhi e respirare piano, sto camminando su un filo, lo sappiamo entrambi.
“Il sistema, ragazzo, è che l’esercito è in appalto a una multinazionale, ALLA multinazionale, che ha brevettato ogni semenza geneticamente modificata del pianeta in modo da creare piante perfette, sane, identiche nell’aspetto e nelle proprietà nutrizionali che hanno risolto il problema dell’approvvigionamento di cibo dopo la crisi del 2026.”
“E sterili.” Aggiungo. “Non producono semi.”
“No. Tanto studio dovrà pur essere ripagato in qualche modo. Che sarà mai l’acquisto dei sementi ad ogni semina.”
“Ma non si può eliminare chi decide di coltivare piante naturali. Non è resistenza violenta.”
“Dipende dai punti di vista.”
Apro la bocca ma trattengo le parole. Il volto del mio superiore è eloquente. Serro la mascella e lo lascio parlare.
“Sottotenente Bortoli Antonio, la condanna per insubordinazione e rifiuto di eseguire un ordine durante un’azione di pattugliamento e bonifica è la reclusione per anni venti in carcere militare. Ma in considerazione degli oneri sostenuti dalla Società di Arruolamento per il suo addestramento, la condanna viene sospesa a tempo indeterminato per permetterle di tornare in servizio e ripagare così le spese sostenute. Sentenza con effetto immediato. È libero di tornare alla sua compagnia appena verrà dimesso dall’infermeria, sottotenente.”
Pronunciato il discorso, l’alto ufficiale accenna un saluto formale e si dirige alla porta. Appena prima di uscire si ferma e senza voltarsi, a mezza voce,” riprenditi figliolo, io e tua madre saremo felici di riabbracciarti, una volta a casa.”
A casa.
Sì.
Anch’io sarò felice di tornare a casa.
Credo di avere, da qualche parte, un vaso e della terra. Vi avevo piantato dei tulipani che però non hanno attecchito. Roba di scarsa qualità.
Ma la terra dovrebbe essere ancora buona.
E poi non vedo l’ora di togliermi tutti questi semi di pomodoro da sotto la lingua.
Vedi anche:
Elementi, acqua.
Elementi, aria.
Elementi, fuoco.
te sei geniale!
i semi sotto la lingua, poi sono la perfezione.
(buffo: proprio ieri addentando un pomodoro pensavo: ma che gusto ha? sembra medicina)
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Adoro il suono della parola geniale di primo mattino…😁
Grazie!
Medicina? 😶
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😁😁😉
Sì, un sapore chimico… finto… innaturale…
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Buongiorno e bravo, anzi bravissimo👍❤️
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Grazie. Buongiorno anche a te ☕
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Grazie Walter ❤️🌹
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Era proprio quello che mi ci voleva appena alzata stamani … 🙂 sembra proprio un progetto interessante Wal. Aspetterò i sequel.
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Ok ma mi raccomando, non troppa aspettativa…
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e vabbè, ci proverò… 🙂
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Il tuo genio non ha limite Walter!!!⭐
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Troppo buona…
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Buona sì ma non troppo😂😂😂😂😂a parte gli scherzi, aspetto sempre i tuoi racconti!🙏⭐
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Non può essere ‘solo’ fantasia, tu hai vissuto tutto davvero. Confessa 😬
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In un certo senso sì, quello che scrivo, è come se lo avessi vissuto. Un po’ come quando si dice che chi legge vive mille vite mentre chi non legge ne vive solo una…
Chissà, magari un giorno qualcuno mi chiederà in quale di tutte queste vite voglio rinascere.
Quasi quasi ora mi porto avanti e scrivo una storia di un tizio bellissimo, ricchissimo e fortunatissimo.
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Mi sembra il minimo, ottimo piano 😁
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Buongiorno e complimenti! Bel racconto dal finale sorprendente. Sono capitata qui per caso, e ho letto Fuoco….. Quando ho capito il genio (!) dietro la penna ho cominciato dal primo elemento!! 😉
Adesso passo alla scoperta degli altri…..
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verosimile e inquietante
una tensione narrativa che si stempera solo alla fine per quei semi sotto la lingua che danno speranza di una qualche forma di resistenza.
bravissimo
ml
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