#141 – Immobile

Già tornando verso casa dopo la solita giornata trascorsa in officina, Attilio nota la figura seduta in mezzo al grande campo incolto ai bordi della strada. Ma Attilio non è tipo da farsi gli affari degli altri e poi non vuole seccature. Chi lo sa chi è quel tizio… Un qualche barbone, un drogato, o uno di quei matti che ogni tanto sfuggono al controllo della vicina casa di assistenza.
Non se ne cura quindi, e prosegue nelle sue quotidiane abitudini.
Solo qualche ora più tardi, quando esce sul balcone di casa per godere dei colori del tramonto estivo, Attilio s’accorge nuovamente di quello che presume essere un uomo, ancora seduto e fermo nel prato al di là della strada. Si concede allora qualche minuto per osservarlo con calma, lì al sicuro dall’alto del suo balcone al terzo piano. Senza rendersene conto inizia a fantasticare sul motivo che spinge quell’uomo a restare immobile per… Quanto tempo? Un’occhiata all’orologio e un rapido calcolo dicono almeno due ore e mezza, da quando lo ha notato, almeno.
Ora Attilio è più che semplicemente incuriosito da quella figura. Che si tratti di qualche installazione artistica dall’aspetto iperrealista?
Non sarebbe così impossibile… Però, piazzata lì così, senza preavviso. Attilio si sforza di ricordare se per caso nelle settimane precedenti qualcuno nel palazzo ne abbia parlato, o se ci siano stati avvisi nella cassetta della posta che ha cestinato senza troppa attenzione, ma non ricorda nulla.
Allora si sporge appena oltre la balaustra del balcone per vedere se qualcun altro nel palazzo si sta ponendo le stesse domande.
“Sera, Casati..” Lo saluta il vicino di balcone.
“Ah, buonasera Pierantoni,” risponde Attilio al contempo colto di sorpresa e felice di aver trovato corrispondenza, “ma, stava guardando anche lei…”
“Si si,” lo anticipa il vicino, “è lì così da oggi pomeriggio.”
“Ma è una statua?”
Il Pierantoni sbuffa una nuvola di vapore aromatico, “ma va là , è il Chiavazzi…”
Attilio elabora l’informazione, ora tutto torna. Riprende a osservare l’uomo immobile nel prato e solo ora nota la motocicletta del Chiavazzi parcheggiata come al solito nello spazio per disabili. Adesso che conosce l’identità del soggetto gli viene facile riconoscerne le fattezze.
“Ma che ci fà lì immobile da tutto questo tempo?”
Il Pierantoni emette un mugugno incomprensibile insieme all’ennesima nuvola di fumo della sigaretta elettronica. Attilio lo interpreta come un “chissenefrega”.
A lui frega. Per questo due minuti dopo è in strada, che cammina lentamente verso la figura immobile. È vero, sapendo che si tratta del Chiavazzi, il suo pensiero cosciente gli urla di non interessarsi della cosa, così come presumibilmente stanno facendo tutti gli altri condomini.
Perché se trovi una motocicletta parcheggiata in modo da occupare almeno tre posti auto, è stato il Chiavazzi, se trovi l’ascensore lasciato aperto all’ultimo piano è stato il Chiavazzi, se la domenica mattina all’alba ti svegli sulle note a tutto volume di Arrapaho degli Squallor è il Chiavazzi, se nel cassonetto condominiale dell’indifferenziata trovi forme di vita sconosciute anche all’equipaggio dell’Enterprise, è stato Chiavazzi.
Per questi e mille altri motivi ora la sorte del Chiavazzi non sembra interessare nessuno, se non la vocina nella testa di Attilio che lo costringe ad avvicinarsi. Ora che si trova a non più di due metri dall’uomo, Attilio si accorge dalla postura del corpo che Chiavazzi si stava alzando, dopo aver fatto una specie di picnic, ma il movimento è rimasto incompiuto e bloccato.
“Hei, tutto bene?” Domanda Attilio.
“Chi è? Che vuoi?” Risponde l’altro piccato.
“Sono Casati. Terzo piano.”
“Ah, Casati. E che ci fai qui?”
“Niente, sono venuto a vedere se va tutto bene. Mi dicono che sei fermo qui da ore.”
“E allora? Non posso? Dò fastidio a qualcuno?”
Attilio non risponde, abituato al fare scostante del Chiavazzi. Si porta lentamente davanti all’uomo seduto in quel modo così particolare. Lui non muove un muscolo, lo sguardo fisso davanti a sé. Fisso su qualcosa che sembra non esserci.
“Ma, stai guardando qualcosa?” Domanda infine Attilio.
“No, sono qui a fare yoga… certo che sto guardando una cosa. Ma non sono mica tenuto a dirti cosa.” Risponde Chiavazzi sarcastico.
Attilio si volta nuovamente nella direzione dello sguardo, si concentra, ma a parte un campo incolto e qualche albero rinsecchito, l’unica cosa degna di nota all’orizzonte è la ciminiera dell’inceneritore comunale, neanche tanto in linea con la linea visiva del Chiavazzi.
“Io non vedo nulla,” commenta Attilio, “sicuro di star bene?”
“Mai stato meglio, Casati. Ora, se non ti dispiace, gentilmente, togliti dalle palle.”
“Sempre gentile, Chiavazzi.” Saluta Attilio mentre si allontana, deciso a rientrare e a dimenticare la faccenda.
“Figurati se divido con qualcuno quello che ho trovato.” Mormora a mezza voce l’uomo seduto nel campo.
“Cosa?” Esclama Attilio tornando velocemente sui suoi passi.
“Cosa cosa?”
“Cosa hai detto? Adesso, un secondo fa.”
Chiavazzi non risponde subito, non si muove, non cambia espressione, ma sembra riflettere. “Va bene,” concede infine, “ti faccio vedere.”
Attilio ora è tutt’orecchi, a un passo da quello strano personaggio che fino a qualche minuto prima desiderava solo evitare e che ora trova misteriosamente interessante. Seguendo le sue istruzioni si abbassa quel tanto che serve per portare il suo volto alla stessa altezza dell’altro.
“La vedi?” Domanda Chiavazzi.
“Ma che cosa?”
“Ah, se me lo domandi vuol dire che non la vedi.” Commenta Chiavazzi tra il deluso e il divertito. “Facciamo così, mettiti proprio davanti a me, nella stessa posizione.”
“Ok.”
“Però Casati, patti chiari eh, questa cosa l’ho trovata io ed è mia, chiaro? Due minuti poi te ne vai, e non ne parli con nessuno.”
Attilio annuisce distrattamente, sempre più desideroso di sapere.
“Oh, Casati, non sto scherzando, guarda che se poi non ti levi ti levo io.”
“Sì sì ho capi…” Attilio non riesce a finire di parlare, la voce gli si blocca in gola nel momento in cui, finalmente riesce a vedere.
Una piccola luce verde pallido, che fino a un attimo prima non esisteva, ora è esattamente nel mezzo del suo campo focale, allo stesso modo in cui una forza invisibile lo avvolge come un mantello e lo immobilizza completamente. Attilio non ha mai provato prima una sensazione di panico, per cui non ne associa subito il nome allo stato in cui si trova. Deve ricorrere a tutta la sua calma interiore per riuscire a far funzionare di nuovo i polmoni. Lentamente, a fatica, perché ad ogni movimento che cerca di fare corrisponde una forza uguale e contraria, l’aria riprende a uscire e rientrare.
Alle sue spalle invece il Chiavazzi rotola via nell’erba e si rialza veloce. Grida bestemmie sorridenti e salta come un grillo.
Attilio prova inutilmente a parlare, l’unica cosa che ottiene è un mugugno incomprensibile, probabilmente gli ci vuole altro tempo per riuscire a ingannare la forza immobilizzante. Il ragionamento, al contrario, è ancora in movimento, e il pensiero di essere stato fregato come un pollo dal Chiavazzi è quello che gli fa più male.
“Oh Casati,” grida ridendo da lontano il Chiavazzi mentre avvia la motocicletta, “mi raccomando tienimi il pos..” il rombo della moto copre il resto della frase, poi si allontana velocemente lasciando il posto al silenzio della sera che si è ormai accomodato sul mondo.

 

“Buonasera tesoro,” esordisce Kotth appena rientrato a casa.
“Sarà una buona sera dopo che avrai parlato con tuo figlio,” risponde piccata la moglie.
“Oh per Juba… Sentiamo, Ahtha, cosa ha combinato questa volta?”
Ahtha sospende per un attimo lo sfregare nervoso della padella ammantata dal detersivo e punta una mano ricoperta di schiuma contro il marito. Qualche goccia impatta sulla giacca scura.
“Tuo figlio,” sibila Ahtha, “nonostante l’ammonimento del Direttivo ha costruito di nuovo un tunnel spazio-dimensionale e si diverte a torturare razze inferiori sui pianeti minori. È tutto il pomeriggio che tiene fermo con il raggio immobilizzante un esserino inerme. Guarda che se genera l’ennesimo buco nero in un’altra galassia lo bocciano ancora quest’anno!!!”

 

19 Comments

  1. Geniale! Letto d’un fiato. Hai rivisitato in chiave quasi allegorica un episodio di cronaca, se così si può definire, facendolo diventare un racconto degno dei romanzi ironici di Piersandro Pallavicini. Mi hai ricordato molto “Romanzo per signora”. 👏👏☺

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