#125 – Questione di bilancio

Il battere leggero sul legno pesante della porta non interrompe il flusso dei ragionamenti del Direttore, che pronuncia un “avanti” distratto e in parte infastidito dal fatto che nonostante i numerosi anni di servizio e le continue raccomandazioni, la segretaria insista a bussare quando non è necessario.
La testa cotonata della donna fa capolino dalla fessura della porta scostata solo del necessario, dando l’impressione di librarsi a mezz’aria senza un corpo a sostenerla. E come sua abitudine attende silenziosa per un cenno.
Il Direttore non solleva lo sguardo dai suoi incartamenti e con un leggero movimento della mano libera la donna dall’empasse.
“C’è uno dei suoi figli, Direttore.”
“Quale dei sei?”
La reticenza della segretaria nel rispondere costringe l’uomo a sollevarsi dalle carte e raddrizzarsi sulla poltrona, togliere gli occhiali da lettura e borbottare: “Ah, ho capito. Ancora lui. Lo faccia entrare.”
La testa sparisce e la porta si apre del tutto. Un giovane alto, magro e dall’aspetto trasandato entra timorosamente nell’ufficio del padre, che nel frattempo si è nuovamente dedicato alla lettura trascurata poco prima.
“Ciao papà.” Accenna il ragazzo con poca convinzione.
Il padre non risponde, si limita a un’occhiata di sottecchi e a uno sbuffo di disapprovazione, probabilmente per l’abbigliamento troppo moderno del figlio. Quest’ultimo percorre i pochi passi che lo separano da una delle due sedie di fronte alla scrivania, cercando di evitare gli sguardi severi degli avi che lo scrutano dagli scuri dipinti appesi alle pareti.
“Le solite vecchie sedie, eh?” Prova a sdrammatizzare, “sempre scomode?”
“Devono esserlo.” La laconica risposta. “Chi viene a colloquio da me non deve sentirsi a suo agio.”
“Non c’è pericolo.” Commenta il figlio a mezza voce, annuendo e prendendo posto sul seggio più vicino.
I convenevoli sembrano finiti. Il vecchio Direttore chiude la cartellina della pratica in studio al momento e la deposita su una pila di altre cartelline tutte uguali. Sfila nuovamente gli occhiali e inchioda lo sguardo sul figlio, in silenzio.
Il giovane cerca invano di assumere una posa autorevole, o per lo meno dignitosa, ma la sedia non perdona. Lo costringe a rimanere in tensione e attento a non scivolare. Sembra quasi dotata di volontà propria. Alla fine si decide a rompere il silenzio.
“Allora, non mi chiedi come mai sono qui?”
“No.”
“Così non mi aiuti, papà.”
“Ho l’impressione di averti aiutato già abbastanza in passato.”
“Sì, certo, ma…”
Il genitore solleva le mani, a frenare le scuse incipienti. “Lasciamo stare,” concede, “come procede l’ultimo progetto che ti ho affidato?”
Il figlio sembra colto alla sprovvista. “Non… forse non hai letto l’ultimo resoconto che ti ho inviato.”
“Hai una vaga idea,” lo rimbrotta il padre, “di quante aziende, società e corporazioni mi sto occupando in questo momento?”
“Un’infinità, suppongo.” Risponde il giovane uomo abbassando lo sguardo ma donando alle sue parole una nota di sarcasmo che il padre sembra, o finge di non notare.
“Più che un’infinità. Per questo al tempo ho delegato i miei sei figli a occuparsi di almeno una piccola parte di questa immensa mole di lavoro. I tuoi cinque fratelli (e a questa parola il giovane stringe i duri braccioli di legno della sedia) gestiscono ognuno, una o più branche dell’azienda. Si parla di centinaia, in alcuni casi migliaia di sedi e progetti, sparsi ovunque. E non mi hanno mai dato problemi.”
Il discorso si interrompe. L’anziano direttore prende fiato, sorreggendosi con una mano l’addome ormai irrimediabilmente sporgente, mentre con l’altra attiva un interfono che spunta a malapena tra le scartoffie e i faldoni stantii che invadono la scrivania. La voce della segretaria gracchia in risposta nel vecchio altoparlante sfondato.
“Signorina, la prego, mi porti il resoconto del progetto… progetto…”
“Diciannove barra sessantasette underscore undici.” Conclude il figlio, togliendosi una piccola soddisfazione.
Neanche il tempo di chiudere l’interfono che la solerte impiegata si palesa in ufficio portando con sé una cartellina azzurra, evidentemente già preparata.
La consegna al direttore e si congeda, non senza un fugace sguardo complice e comprensivo con il figlio. Lui vorrebbe sorriderle di rimando, ma la voce tonante del padre lo dissuade dal farlo.
“Tutto qui?” Domanda agitando la cartellina aperta tra le mani. Non trovando risposta, ripete. “Tutto qui? La concorrenza ci sta facendo a pezzi. Ricordami da quanto tempo stai lavorando a questo progetto. Anzi no, non farlo, meglio di no.”
La cartellina azzurra precipita violentemente sulla scrivania, sollevando tra l’altro una discreta nuvola di polvere. Il Direttore inizia a camminare per l’ufficio, senza uno schema preciso, forse con il solo scopo di far sbollire la tensione, mentre il figlio cerca di ricordare almeno una parte del bellissimo discorso che si era preparato fin dalla sera prima, ma che ora risulta sfuggente come una farfalla inseguita da un retino.
“Il problema è che non è affatto un progetto semplice. E’ una sede complicata.”
“Spiegati meglio.” Concede il padre tornando ad accomodarsi sulla comoda poltrona di pelle.
Il giovane uomo prende coraggio, decide di abbandonare le frasi ad effetto studiate da giorni e di parlare sinceramente.
“I dipendenti di quella sede non mi rispettano. Tutto qui. Forse è colpa mia, forse è la loro indole battagliera, non lo so. Ho fatto tutto il possibile, ho seguito le linee guida, le tue, che hanno sempre funzionato e che funzionano perfettamente in tutte le altre sedi. Ma lì no. Non voglio dire che siano tutti ribelli, sarebbe una bugia. Lo puoi vedere dal resoconto. Una piccola parte rispetta le direttive aziendali e produce a buon ritmo, alcuni si sono gettati anima e corpo nel lavoro e cercano di convincere anche altri a fare lo stesso. Ma è dura.”
“Forse hanno solo bisogno di un Capo Sede più autorevole.” Commenta il padre con un tono tagliente che ferisce profondamente il giovane. “Un Capo Sede più presente di quanto sia tu. Mi è giunta voce che hai impropriamente delegato il tuo lavoro a gente del luogo mentre tu te la godi in no so quale località paradisiaca. Sembra quasi che tu non stia lavorando per la società di famiglia.”
“Sono più presente di quanto credi, o di quanto ti venga riferito, credimi. Inoltre i dipendenti di quella sede sanno chi sei, papà. Ti conoscono benissimo. Sono ben consci dei rischi che corrono se non raggiungono i risultati richiesti. Ma questo non li smuove.”
Il Direttore sbotta con un movimento delle braccia che lo fa sembrare in procinto di esplodere. “E quindi cosa dovrei fare secondo te? Licenziarli tutti? Chiudere la sede? In effetti potrei anche farlo, sai? Per quello che ci guadagno, potrei anche venderla. Ma non lo farò. Non lo farò per il semplice motivo che non voglio darla vinta alla concorrenza. E’ una questione di puntiglio. Di onore.”
“Forse,” azzarda il figlio, “potresti tornare lì con me, ripristinare i ranghi, magari vedendoti…”
Il Direttore ora sembra sgonfiarsi lentamente, scuote il capo, con una rassegnazione nei gesti che colpisce profondamente il figlio.
“No non se ne parla. Sono troppo vecchio ormai. Non sopporterei un viaggio simile. Che mi piaccia o no, che ti piaccia o no, dovrai continuare a occupartene tu. Da solo.”
Detto questo l’anziano Direttore si china in avanti, apre un cassetto e ne estrae un involto di stoffa viola, fasciato da un nastro dorato.
Il giovane quasi non crede ai propri occhi e a stento trattiene un sorriso.
“Bastone e carota, figliolo. Bastone e carota. Di questa roba non ne ho ancora molta a disposizione, per cui utilizzala con criterio. Ci sono dieci piaghe e cinque miracoli. Colpiscili con due o tre pestilenze, bastone. Salvali con un miracolo, carota. L’ultimo miracolo tienilo per qualcosa di strabiliante. Poi non ce n’è più. Ora vai, figliolo. Parla in mio nome. Mi raccomando, Jesus, per la chiusura di bilancio del prossimo millennio voglio vedere un numero di anime a nove zeri. E un’ultima raccomandazione. Questa volta non farti crocifiggere.”

14 Comments

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...