#122 – L’invenzione

Erica pigia il pulsante del campanello con il gomito e resta in attesa. Per la terza volta. Poi sbuffa, posa le bottiglie dell’acqua sul pavimento del pianerottolo, cosa che odia profondamente, e cerca le chiavi nella borsa. Un attimo prima di infilare la toppa della serratura, la porta si spalanca.
“Erica! Finalmente sei arrivata!”
Quello che la ragazza si ritrova davanti ricorda solo vagamente il suo fidanzato. O meglio, l’aspetto trasandato è il solito, i capelli sono sempre lunghi e spettinati, i pantaloni della tuta violano tutte le leggi della gravità restandogli incollati alla vita nonostante l’elastico abbia da tempo deciso di abbandonare una vita stressata per lasciarsi andare al relax e alla meditazione, di scarpe o pantofole neanche a parlarne, non sia mai, e la maglietta con il logo di Star Wars risale indubbiamente alla prima uscita della pellicola al cinema, negli States.
Sono la vitalità e l’energia che il ragazzo sembra emanare a lasciare Erica interdetta.
“Oh, che è successo? Eri attaccato al contatore della luce?”
“Cosa?” chiede lui cercando per un attimo di dare un senso alla domanda ma fortunatamente rinunciandoci subito. “No. No, vieni presto.”
L’afferra per le braccia e la trascina all’interno, ignorando le proteste di lei per le bottiglie lasciate fuori. “Lascia stare, questo è più importante.”
“Aspetta, devo dirti io una cosa importante.” Sentenzia Erica liberandosi dalla presa del compagno e fermandosi nel corridoio. Lui sembra non accorgersene e continua la sua traiettoria verso la cucina. “Miki, fermati!”
Il ragazzo si blocca così repentinamente che i capelli sembrano voler proseguire da soli ma poi cambiano idea e tornano a casa. L’espressione di beata felicità sulla sua faccia non fa che aumentare il nervosismo di Erica. “Ma cos’hai da ridere?” Lo rimbrotta. “Aspetta non dirmelo. Prima io. Mi hanno rifiutato il bancomat al supermercato. ”
“Lo so.” Risponde Miki, tranquillo.
“Come, lo so?”
“Ho prelevato tutto quello che c’era sul conto.”
Lei sgrana gli occhi frastornata, si prepara a una sfuriata epica già temendo una qualche idea strampalata, ma viene anticipata dal compagno che le posa una mano sulle labbra e con l’altra si porta un indice alle sue, nel classico segno di far silenzio. Poi con un sorriso le prende la mano e la conduce in cucina.
Nel locale regna il caos. I piatti che Miki avrebbe dovuto lavare giacciono ancora nel lavello, dove probabilmente trovandosi a loro agio si sono riprodotti, visto che l’instabile piramide di ceramica blu svedese sembra aumentata.
Diversi scatoloni impolverati, ammuffiti e aperti occupano un angolo della stanza. Vedendoli Erica si mette le mani nei capelli, storce il naso per l’odore di muffa e si carica nuovamente a molla. Solo la vista di tutti i loro seppur esigui risparmi poggiati sul tavolo le impedisce di esplodere, facendola pensare che forse la situazione non è ancora irrecuperabile.
Miki le si para di fronte, sorridente e sornione come lei non l’ha mai visto. “Lasciami spiegare.” Le dice. “Poi capirai.”
Dieci minuti dopo la coppia è seduta attorno al tavolo, lei da una parte e lui dall’altra. In mezzo a loro, uno strano apparecchietto di legno e metallo, simile a una scatola a due cassetti ma con i vani vuoti al posto degli stessi.
Il ragazzo non riesce a rimaner fermo, contravvenendo a tutte le sue abitudini più radicate. Le gambe sembrano seguire un ritmo inudibile a tutti tranne che a lui e le mani continuano a giocherellare con la scatola misteriosa. Erica invece, impassibile, osserva con attenzione le due banconote da Venti Euro che tiene tra le mani.
“Allora?” chiede infine lui, impaziente.
“Sembrano uguali.” Ammette lei.
“No!” Risponde lui, alzando la voce più di quanto avrebbe voluto. “Non sembrano. Sono uguali. E’ la stessa banconota.”
Erica deve concederlo. “Sì, sono uguali. Una delle due è una copia perfetta dell’altra. Ma non so dirti quale.”
“Perché è impossibile distinguerle.” Conferma lui. “E’ tutto il pomeriggio che ci provo a capirlo. Ormai non lo so più nemmeno io qual è quella originale. Io che l’ho duplicata.”
Lei posa le banconote sul tavolo, le alliscia per cercare di togliere una piega da un angolo che entrambe le banconote presentano, identica. “Spiegami con calma come hai fatto.”
Lui non aspetta altro. Salta in piedi come un grillo lasciando Erica una volta di più sorpresa dalla sua vitalità, che evidentemente ha tenuto ben nascosta fino ad ora. La parte inconscia della sua mente si fa delle domande a cui forse non vuole rispondere. Preferisce ascoltare.
“Allora, ho portato su gli scatoloni dalla cantina perché cercavo una vecchia consolle di videogiochi, sai quale, la prima che hanno fatto, dicono che forse vale qualcosa se è tenuta bene, volevo venderla…”
Lei fa segno di stringere. Lui prende tra le mani il manufatto di legno e metallo.
“Sì, ok, per farla breve, dentro uno scatolone ho trovato questo apparecchio, in mezzo a vecchi vestiti di mio nonno, quello che faceva l’inventore…”
“Quello matto…” Puntualizza Erica.
“Stravagante, diciamo. Aveva sempre un sacco di idee, ma non concludeva nulla, per cui quando ho trovato questo coso pensavo fosse solo un’altra delle sue invenzioni strampalate. Poi ho notato quello che c’è scritto sopra.”
Così dicendo lo avvicina alla ragazza che si sporge leggermente in avanti per leggere la piccola scritta incisa a mano nel legno.  “Non capisco. Che lingua è?”
Miki si stringe nelle spalle “Mah, credo gaelico, o scozzese, magari è sardo, non lo so esattamente da dove arrivava mio nonno. Parlava in un modo tutto suo… magari era un alieno!”
La reazione della ragazza alla battuta convince Miki a soffocare la risata che aveva in programma. “Ok, quello che so è cosa vuol dire.”
Ora è lei a sorridere, meravigliata. “Davvero?”
Miki si gongola appena, poi confessa, “Oddio, non è che so leggere ‘sta roba. Sono andato su Google e ho cercato la traduzione. Dopo vari tentativi ho scoperto che il significato che si avvicina di più alla prima parola è Duplicatore. Le altre due, non ci sono riscontri…”
La ragazza rigira l’apparecchio, lo studia attentamente per la prima volta. Osservandolo meglio nota due piccoli invasi sulla superficie, appena sufficienti a poggiarvi dentro la punta degli indici.
“Esatto!” Esclama lui.
“Esatto cosa?”
“E’ così che funziona. Prova.” Senza indugiare toglie una banconota da Cinquanta Euro dal piccolo mazzettino sul lato del tavolo e la ripone nello scomparto superiore. Poi aiuta la ragazza a posizionare i suoi due indici nei piccoli alvei ovali. Erica lo lascia fare, incuriosita.
Un leggero ronzio sembra animare la scatola mentre lei viene scossa da un fremito leggerissimo, simile alla sensazione della pelle d’oca, ma più piacevole, quasi eccitante. Un istante dopo nello scomparto inferiore compare una seconda banconota identica alla prima.
Erica quasi non crede a ciò che vede, sebbene poco prima abbia esaminato attentamente due banconote esattamente uguali.
Scoppia a ridere, scoppiano a ridere entrambi.

“Forza, andiamo a dormire.” Sussurra lei quattro ore e due bottiglie di vino più tardi, alzandosi dal divano e liberandosi dall’abbraccio del compagno.
Anche lui accenna ad alzarsi ma il corpo non asseconda la volontà del cervello. Sprofonda di nuovo sui cuscini sfondati. “Vai avanti tu. Io voglio fare un’altra serie di copie.”
Erica annuisce con l’espressione assente e sognante di chi si è lasciato troppo tentare dalle lusinghe del dio Bacco. “Sì, ma non esagerare. C’è anche domani.”
“E se domani smettesse di funzionare?” Farfuglia lui, non ascoltato dalla ragazza già proiettata verso la camera da letto.

Il mattino dopo Erica si sveglia in compagnia di un gran mal di testa e la sensazione d’aver fatto uno strano sogno. Poi realizza di non aver affatto sognato e si concede qualche momento per riflettere. Sembra tutto talmente assurdo che, se del Duplicatore le avessero solo raccontato, non ci avrebbe mai creduto.
Nonostante tutto, un particolare non le torna. Prima di prendere sonno il dubbio l’aveva solo sfiorata mentre ora a mente più lucida, è decisa a scoprire come possa funzionare il Duplicatore.
Nulla si crea e nulla si distrugge, ne è fermamente convinta. Quindi l’apparecchiatura da dove prende la materia per formare le copie? E quale fonte di energia utilizza? Erica non ricorda di aver visto batterie o cavi sporgere dalla macchina.
E quelle due parole di cui non si comprende il significato.
Poi un pensiero la fulmina, quasi letteralmente.
Ricorda il fremito, la pelle d’oca.
Salta fuori dal letto. Si precipita fuori dalla camera, senza stupirsi del fatto che Miki non stia dormendo al suo fianco.
“Michele?”
Entra in cucina, cerca il ragazzo, non lo vede. Vede la montagna di banconote sul tavolo e un brivido di paura la paralizza.
“Miki?” Chiama ancora, mentre lentamente prende coraggio per girare attorno al tavolo completamente ricoperto da mazzi di denaro.
Il ragazzo è steso sul pavimento. I capelli lunghi e spettinati, i pantaloni della tuta e la maglietta di Star Wars, tutto afflosciato su quello che resta di un cadavere scheletrico e completamente prosciugato.

11 Comments

  1. Noooo, che tristezza . Ho trovato bellissima questa frase “Il ragazzo si blocca così repentinamente che i capelli sembrano voler proseguire da soli ma poi cambiano idea” . Davvero ogni soldo non guadagnato non porta mai a buone cose.

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  2. Il ritmo interno, forse, è la cosa che ho apprezzato di più, fa venire voglia di continuare, sin dall’inizio. Lo scrivo perché ho dovuto leggere il tutto in un paio di riprese e fra la prima e la seconda continuavo a pensarci. Mi ha incuriosito esattamente come ha incuriosito Erica. Ben scritto, e la conclusione è… una bella metafora. Certamente, da da pensare e non poco.

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  3. Non so se dire che se l’è meritato ( eli ci arriva no? quindi poteva arrivarci anche lui) o se lo scrittore l’ha punito per quella maglia da nerd …
    In ogni caso io ci rinuncerie, a un compagno, in cambio di banconote… Buono scambio…

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