#113b – Detective story (2)

Seconda puntata. Per la prima, cliccate qui.

Pensavo di lavarmi bene i denti, ma mi sbagliavo.
Il dentista mi ha detto no, non sei capace, continua a lavare quelli degli altri.
E ha ragione, maledizione, questo lo so fare bene.
Arrivo dall’ultima delle mie “clienti”. La vedova Manzi.
Sospetto che la nonnina aspetti tutte le mattine dall’altra parte dello spioncino. D’altronde come biasimarla, attende trepidante la sua dentiera consegnatami la sera prima e da me perfettamente pulita, igienizzata e già provvista di Polident, pronta all’uso.
Ci sono quattordici appartamenti nel palazzo, nove occupati da simpatici anziani che non si fidano del Kukident e preferiscono affidarsi ai miei servigi. Un ottimo modo per arrotondare le entrate.
Avvicinandomi all’appartamento della Manzi però sento che qualcosa non quadra. La porta è semiaperta, e non lo è mai. Faccio per bussare appena prima che si spalanchi completamente e un giovane figuro in salopette mi si para di fronte. Va di fretta, si scusa, sparisce nella rampa di scale che porta all’uscita.
“Oh, lo sciusi, sciaro.” La Manzi fa capolino dal corridoio. Automaticamente le porgo lo scatolino della dentiera e lei grazie a un gesto olimpionico torna a esprimersi in maniera intellegibile. “Lo scusi, caro. Sa, sto rimodernando un pochino l’arredamento.”
Non capisco perché la vecchina si senta in dovere di mettermi al corrente delle sue faccende personali, ma ammicco e proseguo, mentre l’ottuagenaria insiste alle spalle. “Magari quando hanno finito con il salotto può fare un salto a trovarmi…”
Fingo di non sentire e mi obbligo a non dare un seguito all’immagine che purtroppo mi si stampa nella mente. Fortunatamente non ho ancora fatto colazione.
E’ tempo di dare un senso alla giornata, anche se non so ancora come. L’unica traccia che ho per iniziare la ricerca di Findus è una spiga di grano dalla dubbia provenienza. Una vocina nella testa insinua il dubbio che non sia stata veramente trovata sulla barca del Capitano scomparso.
Arrivo all’auto con gesti automatici e la sigaretta già accesa tra le labbra.
Sto cercando di smettere di fumare. Che si sappia.
Che poi fumare non mi ha mai dato particolare soddisfazione. Il problema è che quando si trascorrono gli anni dell’infanzia nei peggiori bar di Caracas si hanno due scelte.
O ti ammazzi di Pampero o di Pall Mall. La nonna mi ha sempre detto che bere fa male, quindi…
Guardo l’ultimo centimetro di sigaretta consumarsi lentamente, tra le dita, la mano sospesa al di là del finestrino.
Puoi sostituire il vizio del fumo con uno meno dannoso, mi disse il terapista, che ne dici del gioco d’azzardo?
Non è che non ci abbia provato, ma non vincevo mai, non mi dava molta soddisfazione. E non venite a dirmi che l’attesa del piacere (di vincere) è essa stessa il piacere.
M’accorgo di fissare le dita ormai vuote della sinistra mentre con la destra insisto inutilmente a torcere la chiave nel tentativo di far partire l’Arna. Niente. Morta.
Il messicano del Doner Kebab (sì avete capito bene, i flussi migratori sono un po’ confusi ultimamente) mi guarda sornione da sotto il sombrero. Non resiste. Lo so che non resiste. Ora lo dice. Si gonfia tutto manco fosse una Big Babol masticata da un ruminante e scoppia. “Ehi Gringo, la macchina vavavumaaa…”
Lo ignoro con classe e apro il cofano, guardandomi attorno nella segreta speranza di scorgere una giovane ragazza meccanico sdraiata sotto il cofano di un DS d’epoca per convincerla a dare un occhio al mio motore in cambio di un un bel sorriso e una scatola di chewingum.
Stranamente non la trovo. Quello che di sicuro non volevo trovare è Nino, il portinaio del mio condominio. Lo osservo avvicinarsi e ce la metto tutta per immaginare il suo collo stringersi sotto una forza invisibile. Sento anche l’impulso di sollevare una mano aperta verso di lui. Se solo a suo tempo non avessi deciso di stare dal lato buono della Forza. Tutta colpa di Joe Condor. Il buon vecchio Joe. Non fosse stato per lui ora sarei ancora a cercare di convincere le casalinghe di Voghera a scambiare il loro fustino di Dixan con due dei miei. Ma questa è un’altra storia.
Il piccolo, baffuto, infingardo portinaio mi si avvicina con quel fare mellifluo tipico di chi è abituato a fare il doppio gioco. “Problemi con l’auto?” Mi domanda, ciondolando.
Accendo un’altra sigaretta e fingo che non esista. Ma il mastino non molla la presa, mi rotola intorno, fiuta il sangue, lo Squalo avrebbe da imparare.  Mi chino verso il motore nella tipica posa dell’amico di Battisti che con un cacciavite in mano fa miracoli. Per quello che ne capisco potrei anche stare osservando un enorme tostapane bruciato.
Solo un particolare attira la mia attenzione. Un mucchietto di segatura vicino a qualcosa che sembra un carburatore, ma potrebbe anche essere una moka Bialetti. In fondo l’omino coi baffi ce l’ho accanto.
“Guardi che se desidera la soluzione dei suoi problemi, basta entrare lì.” Sussurra il diavolo tentatore sottoforma di portinaio, ammiccando verso le insegne rosse dall’altra parte della strada e poggiandomi una mano su una spalla.
E senza neanche rendermene conto mi ritrovo con un’auto nuova, un debito vita natural durante, una fortissima voglia di comprare della Preparazione H e un cane seduto sul sedile del passeggero che non la smette più di parlare, peraltro sbavando ovunque.
Del cane mi sbarazzo facile. Al primo distributore lo affibbio al benzinaio. Ha bisogno di qualcuno che l’ascolti. Il cane, non il benzinaio. In realtà potrei anche tenerlo, mi sta simpatico, bava a parte, ma parla solo di prodotti assicurativi on-line.
Mi accorgo che l’ora di pranzo è passata da un bel pezzo mentre giro a vuoto in cerca di un’ispirazione per iniziare l’indagine.
Non vedo locali ma un supermercato ha il buon gusto e il tempismo perfetto di presentarsi sulla mia strada. Meglio di niente. Il tempo di entrare e raccattare un paio di confezioni di ottimo cibo industriale a basso costo e dalle casse sento arrivare un forte trambusto.
Una cliente ha deciso di partorire proprio sopra il tapis roulant di una cassa. Cosa non si inventa certa gente per non pagare. Al grido di “ci penso io!” il direttore si precipita di fronte alla puerpera sfoderando un sorriso invidiabile e una calma stentorea. Molti dei presenti filmano tutta la scena coi telefonini. Una ragazza accanto a me si scatta un selfie proprio mentre il bimbetto fa capolino alle sue spalle e poi pubblica tutto su Instagram taggando Fedez e la Ferragni. Il direttore solleva il prodotto del parto urlando “Persone oltre le cose! Persone oltre le cose!”
Per un istante che sembra eterno tutta la scena assomiglia a un quadro del Caravaggio. Va bè magari esagero. Ma di sicuro finalmente riesco a vedere una luce.
Dalla tasca del soprabito recupero la spiga di grano mentre nell’altra mano tengo ancora il pacchetto di Focaccelle.
Ora so dove andare.

(e immagino l’avrete capito anche voi…)

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