#106 – Arrivederci

La grossa Audi esce dal tornante fortemente aggrappata al terreno, grazie ai larghissimi pneumatici e alla massa consistente. Arriva quasi fino alla fine del piccolo tratto rettilineo che precede il tornante successivo e inchioda buttando due ruote sullo sterrato e facendo volare un gran numero di sassolini nel piccolo spiazzo erboso a lato della strada. Le luci di retromarcia si accendono e, con l’attenzione di un elefante che cerca di sedersi su una sedia senza distruggerla, indietreggia per togliersi dalla carreggiata. Dopo un ultimo rombo il motore si arresta e tutto torna immobile e tranquillo per parecchi secondi. Dai cristalli oscurati non giunge movimento fino all’apertura delle porte.
Il conducente è il primo a uscire. Gira attorno all’auto osservando la posizione del parcheggio. Annuisce soddisfatto e incita i passeggeri a seguirlo. Una donna, presumibilmente la moglie, e tre giovani ed eterogenei esponenti della razza umana, genere maschile.
La piccola Compagnia dell’Audi si riunisce attorno al suo esponente di punta, il capofamiglia, il padre, l’autista. Egli dirige con aria sicura i movimenti dei suoi compagni di viaggio. Dopo averli radunati accanto all’elefante a motore, inspira profondamente facendo tendere pericolosamente il tessuto della camicia in corrispondenza dell’addome. Espira platealmente e invita i suoi sottoposti a fare lo stesso, con gesti volutamente esasperati ed esaustivi. La moglie-luogotenente al suo fianco si preoccupa che l’ordine venga eseguito in maniera corretta dalla truppa. Senza troppi complimenti insiste con i figli perchè si riempiano i polmoni della fresca aria di montagna, anche avvalendosi di metodi non politicamente corretti, quali scappellotti e improperi. E’ così che i tre pargoli scambiano la loro anidride carbonica cittadina con ossigeno d’altura, non senza risentire delle conseguenze, vista l’iper-ossigenazione obbligata. Il più piccolo deve sostenersi all’auto, colpito da un lieve capogiro.
“Suvvia,” commenta infine il comandante di brigata, “andiamo a godere del panorama.”
L’esiguo plotone si mette in marcia verso il muricciolo di pietre e mattoni che separa il piccolo spiazzo a bordo strada dal ripido fianco della montagna. Parecchi metri più in basso il mondo si tuffa in un piccolo lago alpino.
Lo spettacolo è veramente degno di nota. Tutto concorre per creare la tipica immagine da cartolina. Le montagne, il lago che le lambisce, un cielo blu come non mai puntellato da soffici nuvole che si riflettono nello specchio d’acqua. L’uomo osserva distrattamente il tutto per non più di un paio di secondi, mentre i suoi gregari approfittano del momento di disattenzione per estrarre i cellulari, liberarsi delle facce annoiate in favore di volti sorridenti e cominciare a scattare selfie da postare immediatamente.
La ragazza seduta sul muretto pochi metri più in là non sembra prestare attenzione a tutto quel trambusto. Tiene tra le mani un piccolo tablet e i suoi pollici vi danzano sopra a velocità impressionante. Il capo missione non può fare a meno di notarla. Richiama all’ordine i suoi ragazzi, facendogli notare che panorami del genere sono difficili da vedere nella metropoli in cui vivono. Che lo osservassero bene, quel posto, con gli occhi, non con una fotocamera. Ma anche mentre parla la sua attenzione è sempre più focalizzata sulla figura di ragazza che non distoglie gli occhi dal dispositivo elettronico. Decide quindi di dover intervenire. Demanda alla sua luogotenente consorte il compito di riportare la piccola truppa al mezzo di trasporto e si avvicina alla giovane donna.
“Buongiorno cara,” esordisce, “mi scusi ma non ho potuto fare a meno di notare che nonostante il meraviglioso spettacolo che la natura ci propone, lei è completamente assorta dal suo telefono. La prego, si dimentichi per qualche minuto dei social e si goda la meraviglia che le sta intorno.”
La ragazza continua frenetica a digitare, sorridendo leggermente ma senza sollevare lo sguardo.
L’uomo non demorde. Lancia una fugace occhiata all’orologio ed esita qualche istante, indeciso se tornare sui suoi passi o insistere. Ma ormai per lui è diventata una questione di principio.
“Signorina, la prego, smetta di annichilirsi in uno schermo di pochi centimetri e s’immerga nell’immensità della natura.”
Finalmente la ragazza smette di far volteggiare i pollici e lo guarda.
“Dio sia lodato, signorina.” Un colpo di clacson lo fa scattare di un passo all’indietro. Metà del suo corpo sembra voler tornare all’auto con una certa urgenza, mentre l’altra metà vuole restare per soddisfare un’ultima curiosità. “Finalmente, signorina, si guardi attorno. Non è forse meglio che osservare il mondo solo attraverso un piccolo display? Si goda questo ben di Dio prima di tornare allo stress della città!”
La ragazza sorride e risponde con molta calma. “A dir la verità, io abito dietro la curva, lo vede quel piccolo paesino arroccato sulla montagna? Lì. E vengo qui a piedi tutte le mattine per scrivere racconti. Proprio adesso ne stavo scrivendo uno che parla di un tizio di città, che arrivato di fretta nel posto più bello del mondo, invece di goderselo per i pochi minuti che si autoconcede prima del prossimo improcrastinabile impegno, non riesce a non cedere alla tentazione di importunare un’abitante del luogo, rendendosi ridicolo e lasciandosi sfuggire la vera magia dell’ambiente.”
Le due metà dell’uomo sembrano trovare un compromesso, o forse raggiungono uno stallo che porta come risultato qualche istante di assoluta immobilità. Dopodiché si ricongiungono in un salterello allegro.
“Ma sa che è una storia molto interessante? Lei ha del potenziale, signorina. Tenga, questo è il mio biglietto da visita. Mi piacerebbe leggere altri suoi scritti. Quando torna in città mi faccia uno squillo. Arrivederci!”

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