Un passo dopo l’altro. Un piede dopo l’altro. Uno scalino dopo l’altro.
Wen Zhang li percorre con metodo e concentrazione.
Il primo gradino sempre con il piede sinistro. Sguardo rivolto in basso. Alcune sue compagne di squadra contano gli scalini, altre ripetono mentalmente sempre lo stesso ritornello della stessa canzone. Qualcuna ripensa ai movimenti che dovrà effettuare di lì a poco.
Wen ha un unico pensiero fisso, mentre percorre le scale che la portano sulla pedana più alta. Attraversare la superficie dell’acqua.
Gli scalini finiscono. Un solo modo per scendere da lì, tuffarsi.
Gli ultimi metri in piano la portano sul bordo del mondo.
Le tribune del palazzetto sono gremite, straripanti di gente. Una voce amplificata parte da qualche punto nascosto e rimbalza tra le pareti e l’acqua della piscina. Annuncia il suo nome e la descrizione del tuffo che si appresta a fare.
Wen si posiziona. Le punte delle dita dei piedi si ancorano al bordo della piattaforma.
Respira. Respira ancora.
Chiude gli occhi.
Una mano invisibile ruota la manopola del volume e il mormorio del pubblico scende di livello, restano i rumori di fondo, impossibili da evitare. Lo zampillo delle fontanelle a bordo piscina che increspano e rendono visibile la superficie dell’acqua. L’idromassaggio della vasca per il relax del dopo tuffo, parole in lingue sconosciute rivolte da allenatori ai loro atleti. Perfino lo sventolio delle bandiere olimpiche e nazionali, fuori dalle mura dello scoperto palazzetto dei tuffi.
Wen ascolta tutto nel buio, poi riapre gli occhi.
I suoni si mescolano di nuovo alle immagini, prendono nuova forma. A tutto questo Wen è abituata, allenata. E’ pronta, allarga le braccia ai lati in preparazione del tuffo, sguardo fisso in avanti.
E una farfalla attraversa il suo mondo, con quel modo sconclusionato e aggraziato di volare.
Il mondo, attorno a Wen, collassa.
Altri suoni, altre immagini.
Un piccolo pontile sul lago Junshan. Una bambina seduta sul bordo che sbatacchia i piedi nell’acqua fredda.
“Perchè lo fai?” domanda una voce alle sue spalle.
La bimba si volta spaventata, quasi rischiando di finire in acqua. Un piccolo esserino trotterella sul vecchio legname del pontile fino a lei, immobilizzata dallo stupore.
“Tu chi sei?” chiede la bambina.
“Secondo te? Chi sono?”
“Sembri un folletto. Però assomigli anche al mio cagnolino.”
L’esserino ride di gusto, avvicinandosi ancora di più. La piccola Wen non ne ha timore, anzi, si sporge in avanti nella speranza di poterlo accarezzare per capire se è morbido quanto sembra. Lui sembra intuirlo e assecondarla, ma poi cambia idea e si ritrae.
“Comunque, ragazzina, rispondimi, perché lo fai?”
“Che cosa?” Domanda lei, un po’ delusa.
“Facevi il solletico all’acqua, prima. Con i piedi.”
“Il solletico all’acqua?” Wen ride. “Non si può fare il solletico all’acqua.”
Il folletto assume un’aria imbronciata. “E chi l’ha detto? Guarda.” S’avvicina al bordo del pontile e con un buffo movimento rotola sulla pancia, allungando un mano verso la liquida superficie. Poi agita le lunghe dita nell’acqua, che inizia a gorgogliare. “Lo senti questo rumore?”
La bambina si sporge per vedere e sentire meglio, poi sorridendo risponde. “Sì! E’ il lago che ride?”
Sul volto del folletto si disegna un gran sorriso. “Esatto. Ascolta adesso invece.”
Smette di agitare le dita e l’acqua si calma, s’alliscia. Allora con il palmo inizia ad accarezzarla dolcemente. Il suono che ne scaturisce sembra un sospiro.
Wen ne rimane affascinata.
“Gli hai fatto una carezza!” Esclama gioiosa. “Voglio provare anch’io.” Esclama allungando una mano, ma per la troppa foga invece di fermarla sul pelo dell’acqua la immerge completamente, schiaffeggiando il lago. Uno schizzo di acqua gelida la colpisce in viso, la fa arretrare di scatto.
Il folletto ne ride di gusto, quasi sguaiatamente, godendo ancora di più nel vedere l’espressione delusa della bambina. “Ah, l’hai proprio fatto arrabbiare, piccola. Ma non temere. Imparerai a farlo nel modo giusto.”
“E com’è il modo giusto?” Domanda lei, cercando di asciugarsi il viso, ancora imbronciata.
“Non è una cosa che si può insegnare, piccola. Però posso dirti che quando lo imparerai, scoprirai un mondo fantastico dall’altra parte dell’acqua.”
“Dall’altra parte dell’acqua? Cosa inten…” ma Wen non riesce a terminare la frase, mentre parla il folletto si alza in piedi, in tutti i suoi cinquanta centimetri di altezza, si aggiusta il cravattino, le strizza l’occhio e si lancia verso l’acqua, sparendo senza increspare minimamente la superficie, anzi senza nemmeno toccarla.
La piccola Wen resta ad occhi sbarrati, incredula e immobile per parecchi secondi, aspettando che il folletto ricompaia dopo il tuffo. Ma non ricompare più.
Lei lo sa che non si è tuffato nel lago, ma ha attraversato il sottile confine che l’ha portato nel mondo fantastico che si trova chissà dove. E improvvisamente le sembra la cosa più naturale del mondo.
Allora non indugia oltre la piccola Wen, scatta in piedi e si lancia giù dal pontile, con tutta la sicura ingenuità di una bimba di sei anni. Ma non arriva a toccare l’acqua, due mani forti la trattengono e riportano indietro, impedendole di raggiungere il suo scopo e facendola invece iniziare il viaggio verso Pechino.
Passa parecchio tempo prima che Wen riesca a riprovare il tuffo, che però non funziona.
Da quel giorno Wen si tuffa tutte le volte che può. Così tante volte che le riesce impossibile contarle. Ovunque, ogni volta che le si presenta l’opportunità, fin quando l’allenatore della scuola la segnala per farla entrare nel Progetto 119.
Così Wen dedica la vita a studiare il tuffo perfetto. Impara a parlare all’acqua e a riconoscere la sua voce, ad accarezzarla, a scivolarci dentro nel modo più gentile possibile, poi qualcuno le dice che è brava, bravissima, che tuffarsi è il suo naturale talento. Lo asseconda, diventa una campionessa, esegue tuffi che non si ritengono possibili fino a quel momento, sempre più perfetti.
Il suo scopo non è vincere medaglie, ma attraversare il confine sottile.
L’acqua però la rifiuta ogni volta, facendola riemergere.
Ora la farfalla continua il suo volo incerto e lo sguardo di Wen ne rimane incollato, da lassù, dalla piattaforma più alta. Qualcuno le grida qualcosa, forse di tuffarsi, forse di non farlo. Non ha importanza. Non ascolta. Quella voce si perde assieme a tutte le altre, scivola via insieme a tutto il mondo. Resta solo quella farfalla e il frusciare delle sue ali che ora vola decisa verso l’acqua.
E la oltrepassa.
Wen sorride.
Ora lo sa.
Ora ha capito. Che non deve cercare di capire.
Esattamente come quella farfalla.
Deve solo crederci. Istinto, non ragione. Come la piccola Wen.
Non è un tuffo, è un passo.
Sorride Wen, mentre si lascia cadere.
☺☺☺bello
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Merci. 😉
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Stupendo… Meraviglioso 😊
Credere.. Credere in se stessi…. E’ la chiave della Vita..
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Grazie Aquila!
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