#89 – Sogni d’oro

Voglio mettere subito le cose in chiaro.
Sono morto. E da un bel pezzo anche.
Ne parlo così, con leggerezza, appunto perché la cosa non mi pesa. Non ricordo nemmeno con esattezza quando e come successe. Diciamo che l’ultima immagine da vivo riguarda l’ufficio dell’azienda dove lavoravo. Sì, sono d’accordo, non è un’ultima fotografia molto romantica, soprattutto se si considera che è stata l’ultima della mia vita terrena.
D’altronde non lo decisi certo io quando passare a miglior vita. Fortunatamente mi resi conto fin da subito di poter contare su molti altri bei ricordi. E tutti meravigliosamente nitidi e precisi. Hai presente quando ti dicono che ti passa tutta la vita davanti? Diciamo che ti torna in mente tutto, ma proprio tutto, anche quello che non ricordavi di aver vissuto.
Insomma, mi ritrovai morto, e credimi, non è stato come mi aspettavo.
Innanzitutto mi son sentito bene. Mai stato meglio direi. Niente più mal di schiena, dolori alle ginocchia, sai tutti quegli acciacchi dell’età. E poi tutte quelle storie sul buio, le fiamme dell’inferno, l’oblio, il nulla eterno. Niente di tutto questo.
Mi ritrovai in un edificio in tutto simile a quelle grandi stazioni ferroviarie anni cinquanta che si vedono nei film di Hollywood. Chiaramente, non da solo. Puoi immaginarlo, c’era un botto di gente.
Arrivavano da tutte le parti. Di tutte le etnie, razze e religioni. Una forza. Tipo, gente che prima si ammazzava a vicenda anche solo per un’occhiata storta o per il dialetto diverso, ora tutti col sorriso sulle labbra e tutti a parlare la stessa lingua. E tieniti forte, gli alieni esistono. Sapessi quanto sono… particolari. Ce n’è di ogni forma e dimensione. Dev’essere proprio vero che siamo tutti creature dello stesso dio, anche se a dir la verità qui non si è mai parlato di lui, sì insomma, del principale, del capo.
Ma sto divagando. Come ti stavo dicendo, appena arrivato la prima sensazione è di tranquillità, di pace, non so se mi spiego. Io per esempio non avevo più preoccupazioni. Ed ero uno che si angosciava parecchio in vita. Non sai il sollievo nel sentirsi così leggero, oserei dire felice. Oh, se essere morti vuol dire questo, non potevano dircelo prima?
Ad ogni modo, proprio come in una stazione vera mi misi diligentemente in fila come tutti agli sportelli con relativi impiegati, proprio come si faceva una volta, quando i biglietti si compravano davvero e non con il cellulare.
Quando fu il mio turno mi stavo intrattenendo ormai da parecchi minuti in una discussione geografica con un tizio gelatinoso che continuava a cambiare forma in base al tono della conversazione. Non riusciva a credere che non conoscessi il suo mondo d’origine. Vagli a spiegare che non ero neanche stato in Francia, figurati in un’altra galassia.
“Ben arrivato.” Mi disse l’impiegata, giovane e con l’aspetto di nativa americana, di una gentilezza squisita e un sorriso contagioso.
“Grazie.” Mi venne la curiosità di chiederle da quanto tempo fosse arrivata, ma mi anticipò.
“Le faccio giusto qualche domanda per vedere di trovarle una sistemazione.”
Pensai fosse una frase ripetuta almeno un milione di volte, quasi una cantilena recitata mentre digitava sulla tastiera.
“Benissimo.”  Risposi.
“Di cosa si occupava in vita?” Chiese smettendo di digitare e guardandomi con quel suo sguardo profondissimo. Mi resi conto che era realmente interessata, incredibile.
“Logistica. Ma non mi piaceva affatto come lavoro.” Non l’avrei mai detto da vivo. Non mi ero mai reso conto di odiare quel posto. Anche se naturalmente non ero più in grado di provare odio, ricordavo solo di averlo fatto.
“Ma certo, sa che quasi nessuno è contento di quello che faceva?” Sorrise ancora di più e si rimise a ticchettare.
“Non stento a crederlo, signorina.” Mi persi a guardare a destra e sinistra le innumerevoli file ad altrettanti sportelli. Ebbi la netta sensazione che moltissimi stessero provando ciò che provavo io. Perfino tutte quelle creature strane provenienti da chissà quali mondi.
“Allora,” continuò l’impiegata, “direi di non prendere in considerazione un impiego amministrativo, giusto?”
Annuii, sempre rilassato come un bradipo attaccato al suo albero, anche se realizzai in quel momento che mi stavano cercando un lavoro. Avrei voluto provare almeno un filo di delusione, invece ero contento.
“Mi parli di lei, qual era il suo desiderio più grande, da vivo?”
A quel punto sì che fui veramente felice. Sorrisi prima di rispondere.

Adesso faccio il mestiere più bello del mondo.
Anzi, di tutti i mondi.
Mi spiace solo non potertelo raccontare. Non direttamente almeno.
In fin dei conti io sono morto e tu invece sei ancora viva.
E’ stata veramente una fortuna ritrovarti. Ero in pausa e passeggiavo per i corridoi, così, senza una meta precisa, tanto per fare due chiacchiere con qualche collega e prendere un caffè, quando mi è caduto l’occhio su un terminale e ti ho visto. Quasi non volevo crederci. Sai quanti miliardi di esseri viventi ci sono nell’Universo?
Ti ho riconosciuto subito, anche se era passato un po’ di tempo. Dormivi, naturalmente, è l’unico momento in cui vi possiamo vedere.
Il difficile è stato convincere il collega che ti seguiva a cederti a me. Un marcantonio di siberiano con un senso dell’umorismo tutto suo e fin troppo ligio alle regole. Alla fine l’ho avuta vinta, ma mi è toccato cedergli mezza porzione di dolce per i prossimi mille anni. E guarda che non sono mica pochi mille anni, in fondo qui il tempo scorre allo stesso modo che lì e i dolci sono divini.
Ma ne è valsa la pena.
Non ti ho ancora detto che lavoro faccio adesso.
Scrivo storie.
Sì, esatto. Il lavoro più bello.
E la cosa meravigliosa è che le mie storie diventano i vostri sogni.
E le mie storie più belle sono tutte per te, figlia mia.
Sogni d’oro.

24 Comments

  1. Bellissima questa storia. Non è che saresti aperto all’adozione?Sono un pò fuori età, ma questa, oramai, è una caratteristica costante più che un dato anagrafico. ;-)Però, fa un favore, non aspettare di morire per giocare questa carta! Grazie!!!

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  2. Pingback: Xx | quasi40anni

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