#68 – Un attimo di felicità

I dubbi non lo mollano un secondo. Gli sono saltati in groppa dal momento in cui ha preso la decisione.

Stava tornando al lavoro dopo le ferie. Le prime senza di lei. Si muoveva in automatico, uscito da casa senza rendersene nemmeno conto era arrivato a parcheggiare nel solito posto, a osservare i soliti colleghi passargli accanto per sparire in uno dei tanti soliti grigi edifici tutti uguali, sotto una pioggia fine e insistente.
Un’immagine di lei, ridente e sdraiata su un prato verdissimo illuminata dal sole.
Quello è stato il ricordo che lo ha preso per le palle e costretto a riaccendere l’auto.
Ora una turbolenza dell’aereo lo risveglia da sogni confusi e non aiuta a far demordere la morsa allo stomaco che decide di stringere ancora di più.
Ha una sola certezza in mezzo a milioni di dubbi. Una certezza che implica una domanda la cui risposta si trova dietro una di quelle milioni di finestre che ora vede dall’oblò dell’aereo.
Una voce annoiata e gracchiante avverte di spegnere i cellulari e allacciare le cinture.

La grande metropoli non ha alcuna attrattiva per lui. Viali, edifici, scorci e panorami visti così tante volte solo in televisione, ora scorrono dall’altra parte del finestrino d’un taxi giallo e nero. L’autista parla una lingua che lui credeva di aver studiato ma che ora stenta a riconoscere, ma non gli importa. L’unica cosa di cui si preoccupa è che l’alieno al volante lo porti all’indirizzo che gli ha consegnato scritto su un foglietto.
Quando l’auto si ferma bruscamente in doppia fila, la nausea l’assale improvvisa.
In qualche modo riesce a capire quanto deve pagare e in pochi secondi si ritrova sul marciapiede, con la precisa inutile sensazione che il tassista l’abbia fregato, e con la stretta allo stomaco che cerca in tutti i modi di strizzarlo come una spugna.
Con passi pesanti come macigni si fa strada tra frotte di turisti col naso all’insù e diabolici dispositivi che a ogni scatto rubano un pezzo della loro anima. Ogni metro che percorre gli fa guadagnare nuovi dubbi sulla bontà della sua decisione.
E se lei non volesse rivederlo? Ne avrebbe tutte le ragioni, visto il modo in cui si sono lasciati. Non è neanche sicuro di trovarla in ufficio oggi, ma non ha altre possibilità visto che non ricorda, o forse non l’ha mai saputo, l’indirizzo dell’appartamento. Mentre l’ascensore arrampica si maledice ancora una volta di non averla seguita subito, di non aver avuto il coraggio di rinunciare alle sue fragili sicurezze europee in cambio di una nuova vita con lei. E spera con tutto il cuore di essere ancora in tempo.
Le porte si aprono.
D’un tratto si sente leggero, euforico.
Lei è lì, a pochi metri nel corridoio, presa a digitare qualcosa su una fotocopiatrice grande quanto un’utilitaria.
E’ il momento in cui lui avrà la sua risposta, questo.
Lei lo vede, e per un attimo che sembra non trascorrere mai la sua espressione non cambia. Poi lascia cadere a terra la piccola pila di fogli che teneva in mano e corre verso di lui, radiosa e bellissima.
Si scontrano abbracciandosi in una meravigliosa simbiosi di corpi e anime, e lui assapora per la prima volta quella che è sicuro essere la più grande felicità della sua vita.
Scivolano in un balletto claudicante fino a sbattere dolcemente contro una vetrata che li divide da un vuoto profondo centinaia di metri. Non servono parole, solo baci e l’abbraccio che li tiene uniti.
Finalmente lei trova la forza di separarsi quel tanto che serve a guardarlo negli occhi e dire: “Grazie amore, sono così felice.”
E lo è anche lui, nel vedere la gioia negli occhi di lei. La stringe così forte da farle quasi male, lo fa per sussurrarle parole dolci all’orecchio, e per impedirle di vedere l’aereo di linea che sta per colpirli al novantacinquesimo piano della Torre Nord del WTC.

foto di Buro Ole Scheeren, Oma

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